PRIMATO FASCISTA E' L'ORGANO UFFICIALE DEI FASCISTI RIVOLUZIONARI
“Fondiamo questo foglio con volontà di agire sulla storia italiana. Contro la filosofia regnante, che fermamente avverseremo, non ammettiamo che tutto sia “Storia”: storia non è quel che passa, è quel che dura […]. Ci basta che dieci abbiano inteso, e si siano dati la mano; che codesto fascicolo di trenta pagine sia stato prova di vita fra tanta inerzia d’uomini, affermazione chiara e dura fra tanta dubbiezza, falsità, fragilità di scrittori, e resti documento dell’epoca Fascista, principio anzi di quella rivoluzione intellettuale che noi compiremo.” Berto Ricci, da “l’Universale”, 3 gennaio 1931.

giovedì 30 giugno 2011

La Riforma Universitaria

tante proteste ma nessuna soluzione!


In queste giornate è sotto gli occhi di tutti la protesta degli studenti per i sostanziosi tagli operati all’università. La protesta ormai dilaga tanto da aver portato all’occupazione di famosi siti storici del nostro paese. Il successo della protesta dipenderà molto dalle sorti del governo quindi quello che succederà è legato a doppio filo agli avvenimenti politico-istituzionali delle prossime settimane.
La giusta protesta degli studenti però risulta focalizzarsi solo sulla questione dei recenti tagli senza avere una visione più ampia di quelli che sono i problemi dell’università italiana. Contemporaneamente tale protesta rischia di essere strumentalizzata dal sistema al fine di ridurre l’intera protesta nella dimensione della “lotta tra feudi”.
Onde evitare una analisi superficiale, se non addirittura strumentale, dei problemi dell’università, si propone una visione d’insieme di quelli che sono i problemi dell’università italiana, i quali sono riassumibili in quattro punti principali: la lottizzazione della università, l’arretratezza del sistema universitario, l’inadeguatezza dei fondi messi a disposizione dallo stato e l’utilizzo della università come mezzo di controllo sociale.
Tutti questi problemi sono collegati tra di loro ed hanno provocato tutti quei disagi che hanno fatto slittare le università italiane pure alle spalle di molte università dell’est Europa.
La lottizzazione dell’università non è nient’altro che il riflesso nel mondo universitario del problema della partitocrazia. I professori universitari italiani sono quasi tutti politicamente schierati e spesso devono la loro posizione ai partiti. In particolare esiste una forte lobby sia democristiana che di sinistra in seno all’università italiana. Tale lobby è più interessata a mantenere inalterato il proprio potere che a cambiare il sistema universitario italiano anche perchè un qualsiasi cambiamento non potrebbe non mettere a rischio la loro posizione. L’opposizione di questi signori ai tagli universitari è puramente funzionale a tutto ciò. Essi stanno soltanto cercando di evitare l’ingresso nelle università della lobby rappresentata dai partiti della attuale destra. Non è un caso, infatti, che le proteste universitarie, in origine nate spontaneamente, siano state progressivamente colonizzate dai partiti e riempite di simboli politici. Il sistema universitario italiano è da almeno due decenni obsoleto e completamente incapace di rispondere alle esigenze del mondo del lavoro. I metodi usati ed il tipo di preparazione sono rimasti pressoché identici da decenni e questo ha portato ad un totale scollamento tra mondo del lavoro ed università. Ne nasce l’estrema necessità di adeguare immediatamente l’università al mondo del lavoro. E’ vero che l’attuale legge sul lavoro non permette di fare un adeguato apprendistato ma è altrettanto vero che troppo spesso le università adottano un metodo frontale e nozionistico che poi si rivelerà inutile sui posti di lavoro. Ad onore del vero va detto che l’impianto base del sistema universitario è ancora valido ma ha bisogno di essere svecchiato ed adattato ai tempi.

L’inadeguatezza dei fondi è certo riferita agli stipendi dei docenti quanto piuttosto ai soldi messi a disposizione per le infrastrutture ed i corsi. In particolare l’Italia, avendo deciso di partecipare al processo di Bologna, ovvero il processo che ha come obiettivo la formazione di uno spazio europeo dell’istruzione superiore, al fine di migliorare la mobilità degli studenti e della forza lavoro, ha adottato il modello del 3+2 (di cui parlerò in seguito) in vigore in quasi tutta la UE. Tale modello è senz’altro una scelta vincente ma per essere finanziato in maniera adeguata richiede vi sia destinato almeno il 3% del pil. Cosa che non avviene. Oltre alla mancanza di finanziamenti, gioca la sua parte di responsabilità anche la mancata comprensione di questo nuovo modello che quasi sempre riduce gli ultimi due anni di università ad una fotocopia dei primi tre. La volontà di tornare indietro recentemente espressa da alcuni ministri e professore non è nient’altro che il lamento di una sistema inefficiente che per sopravvivere così come è non vuole far altro che tornare indietro.
L’utilizzo della università come metodo di controllo sociale è legato al problema della lottizzazione ma risulta anche essere un problema di tipo culturale. Da troppo tempo la scuola italiana è stata sottoposta alla massima gramsciana della scuola vista come un mezzo di indottrinamento al fine di ottenere consensi e fedeltà al regime vigente. Ora qui nessuno vuole negare il fatto che ogni regime politico cerchi di ispirare lealtà nei suoi confronti ma quando tale regime piega l’intera istituzione scolastica a questa logica senza tenerne in alcun conto l’inadeguatezza allora è chiaro che qualcosa non funziona. Le soluzioni a questi problemi sono molteplici sopratutto per quanto riguarda la parte dei finanziamenti e quella tecnica della riorganizzazione del sistema universitario. Come ho scritto il sistema del “3+2″ è una buona soluzione a patto che venga adeguamento finanziato (almeno il 3% del PIL) e che vi sia la reale volontà di adeguarsi a tale sistema. Tale modello è conveniente perchè divide la preparazione universitaria in due parti: i primi tre anni dedicati allo studio ed all’approfondimento degli aspetti teorici di una determinata materia mentre gli ultimi due anni hanno una vocazione più pratica orientata all’inserimento nel mercato del lavoro. In questo modo si risolverebbe anche il problema del continuo posticipare l’entrata nel mercato del lavoro. Gli studenti, già all’età di 23 anni, verrebbero inseriti nel mondo del lavoro ed ad una età massima di 26 anni avrebbero finito il loro percorso di studi con già alcune esperienze accumulate ed anche avendo già versato contributi. Cominciando a versare contributi a 23 anni anziché a 27 si eviterebbe di posticipare troppo l’età pensionabile garantendo almeno un minimo di reddito ai più giovani ed una vecchiaia più serena agli anziani.
In ogni caso tutti questi provvedimenti tecnici possono essere discussi con le parti sociali e con altri movimenti politici al fine di raggiungere il miglior risultato possibile.
Tuttavia ciò che è più importante e non negoziabile è il fatto che per riformare veramente l’università italiana occorre fare una svolta culturale che consiste nell’abbandonare la teoria gramsciana della scuola come mezzo di controllo sociale avente il compito di generare consenso e fedeltà al regime vigente. Tale teoria, accettata ed utilizzata da quasi tutti i movimenti politici italiani, è vera nella misura in cui viene creduta come tale. L’unico prodotto possibile seguendo questa teoria è una scuola che ha il solo compito di indottrinare e livellare le coscienze magnificando le virtù dell’attuale sistema, nonostante il regime demoliberista sia ormai pressoché al collasso funzionale, incapace di dare alcuna prospettiva per il futuro e nonché privo di alcuna legge morale capace concretamente di perpetuarne le istituzioni. Dunque una scuola dove è più importante premiare la pappardella ripetuta a memoria piuttosto che lo spirito critico o la volontà di pensare. Più in generale una scuola che spinge verso il peggior conformismo di massa.
Invece la scuola va anzitutto trasformata in un luogo in cui vengono formati veri cittadini responsabili e capaci di avere un atteggiamento critico ed attivo nei confronti del mondo che li circonda. Questo perchè solo una simile impostazione può generare menti pensanti e capaci. Queste ultime sono le uniche a poter dare linfa vitale alla comunità, la quale soltanto attraverso esse potrà affrontare quelle che sono le sfide della storia. Una società guidata da menti conformiste ed incapaci, indottrinate all’insegna dell’edonismo più sfrenato è destinata a soccombere perchè esse non saranno capaci di pensare se non in termini di mantenimento del peggior potere politico espresso dal peggiore dei regimi della storia italiana asservito all’interesse personale più bieco. Insomma, più in generale, la scuola deve essere una palestra di idee nonché il primo luogo in cui si condanna la gestione della cosa pubblica come un puro esercizio di potere in nome del conformismo politico ed ideologico.
Altro provvedimento importante è quello di garantire l’imparzialità e la responsabilità del corpo dei professori. Riguardo l’imparzialità si potrebbe, come già avviene nella magistratura, impedire l’adesione ufficiale dei docenti ai partiti. Riguardo la responsabilità si potrebbe, come già avviene in molti paesi stranieri, legare lo stipendio con la qualità dell’insegnamento in modo che il singolo professore sia invogliato a garantire una maggiore qualità sia dell’insegnamento stesso che della stessa selezione del personale. Stesso principio dovrebbe essere inserito anche per l’università stessa.
Altro provvedimento utile sarebbe affiancare alle università degli istituti di formazione professionale per quelle persone che, per un motivo o per l’altro, non vogliono fare l’università o non arrivano a completarla. Tali istituti devono però rappresentare una valida alternativa alle università. Quest’ultima ritornerebbe ad essere così maggiormente selettiva senza danneggiare chi non riesce a portarla a termine.
Ciò che però risulta essenziale in questa fase storica è uscire dalla dimensione culturale gramsciana sopra citata perchè soltanto un cambiamento culturale del genere potrà garantire la reale emancipazione della università italiana dalle logiche partitocratiche e della lottizzazione.
Dvx87

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