sabato 23 luglio 2011
Convegno Presentazione Libro a Mazara del Vallo!
venerdì 22 luglio 2011
IlCovo ricorda Sergio Barbadoro!
giovedì 21 luglio 2011
Motti, inni, estetica e decadenza.
sabato 16 luglio 2011
Anniversario della guerra Antifascista contro il Giappone
Già, caro Nenni, perchè non lo spieghi a qualche indottrinato di retorica antifascista che in realtà non avete mai lottato per la democrazia, per il proletariato e per tutte queste belle cose? Perchè non gettavate la maschera riconoscendo semplicemente che eravate dei pupazzetti dei padroni anglosassoni e che avete combattuto il fascismo per il semplice fatto che aveva perduto la guerra? Perchè non dicevi chiaro e tondo che la guerra civile non portò alla democrazia in Italia, ma alla dittatura di altre forze "antinazionali"?
Inoltre la dichiarazione di guerra al Giappone non fu solo un atto simbolico. Ciò è dimostrato dagli atti del dibattito del Consiglio dei Ministri di allora. Si pensava di formare un corpo di spedizione interamente armato, equipaggiato e trasportato nel teatro d'operazioni dagli anglo-americani capitanato dal tenente Edgardo Sogno che avrebbe partecipato all'operazione Downfall, l'invasione del Giappone. Addirittura si parlò pure di eventuali compensazioni territoriali per l'Italia nelle isole del Pacifico, a fronte dei territori perduti in Africa e nell'Egeo. Gli Stati Uniti avevano messo in conto che la riuscita dell'operazione sarebbe costata alle sole forze armate americane centinaia di migliaia di morti (alcune stime arrivavano a sfiorare il milione) quindi il tributo di sangue richiesto sarebbe stato comunque esosissimo anche da parte di un contingente di forze ridotto quale poteva essere quello italiano. Per l'antifascismo si trattò quindi di sacrificare "alcune migliaia di morti da gettare sul tavolo della pace", di mussoliniana memoria. La differenza sostanziale sta nel fatto che mentre il Fascismo con un piccolo sacrificio intendeva dare un nuovo corso rivoluzionario alla storia del mondo e dei popoli, spezzando l'imperialismo plutocratico e ponendo l'Italia alla ribalta del nuovo ordine imperiale, l'antifascismo cercò di sacrificare delle vite dopo cinque anni di guerra, con un paese ridotto allo stremo delle forze e percorso da una strisciante guerra civile, per compiacere l'imperialismo plutocratico anglosassone che aveva bisogno di vite umane da sacrificare come pedine per la conquista del Giappone. Le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki impedirono questo ultimo bagno di sangue italiano. Da notare, infine, che la dichiarazione di guerra non fu accettata per "sfregio" dai giapponesi, di cui non ne presero neppure atto, per il fatto che i Giapponesi riconoscevano come legittima solo la Repubblica Sociale e non il Regno d'Italia.
sabato 9 luglio 2011
II Fascismo come rivoluzione intellettuale di G. Bottai
Non vi sembri superflua questa dichiarazione preliminare. Per quanto nulla predisponga ancora il nostro Partito ad una interna suddivisione di tendenze, mirabile essendo, sotto la pressione degli avversari non ancora persuasi a rivedere le dottrine proprie e i propri metodi in funzione dei tempi nuovi, l'unità interiore, morale e spirituale, della nostra organizzazione nel quintuplice ordine del suo inquadramento, politico, militare, sindacale, cooperativo e tecnico, per quanto, dico, nonostante le polemiche recenti e alcuni buffoneschi secessionismi, il Partito conservi la sua forza compatta ed urgente, non è senza motivo, che io, proponendomi un discorso il più possibile sereno e pacato, polemico per intima passione più che per artificiosa virulenza, premetta la dichiarazione esplicita della mia prammatica appartenenza all'organizzazione ufficiale del Partito Nazionale Fascista.
Più forte, essendomi io, dopo la vittoria, eletto tra tutti il compito più arduo, che è quello di richiamare i vittoriosi piuttosto alla responsabilità che ai vantaggi della vittoria, ho visti levarsi verso di me indici accusanti di giudici severi o supplici mani di timorosi, gli uni deprecanti il mio linguaggio serenamente critico, gli altri ansiosi di sentire appagato dal mio esame obiettivo il loro irragionevole e catastrofico pessimismo.
Ma io ignoro, per temperamento e per studio, le infatuazioni. Le infatuazioni della disciplina, che diviene cecità, le infatuazioni dello spirito critico, che diviene anarchia intellettuale.
Ho servito il Fascismo, dalle origini, dal marzo del 1919, come un fenomeno di reazione intellettuale e spirituale, quindi con la intelligenza e con lo spirito, forte, dinanzi agli avversari accampanti contro di noi i diritti della cultura, d'una forza più valida e pronta della forza muscolare e ho portato nell'uso di questa il senso vigile della necessità e della misura, aiutato in ciò da una esperienza viva, sui campi di battaglia, di quell'arditismo italico, che non fu se non un fenomeno della nostra intelligenza di popolo giovine risolventesi in audacia sotto l'armonica legge della necessità.
Se ho sempre riconosciuta l'origine del Fascismo come non teorica e non logica, come non dovuta ad un compendio sistematico e preordinato di idee o ad un gelido calcolo della ragione, se, anzi, in tale non teoricità e alogicità ho sempre riscontrato uno dei pregi del movimento fascista e uno dei secreti del suo rapido ed impetuoso successo, sviluppantesi con la meccanica progressività di una reazione istintiva, naturale, non ho mai creduto che l'intelligenza, nel senso più limpido e puro di questa bella parola latina e italiana, fosse da quell'origine assente.
Sarà bene dinanzi a certe deformazioni manganellistiche che si attardano ai margini del Fascismo e in forza di cui si tenterebbe, con gioco ridicolo e turpe, di rivendicare alla manesca bravura di alcuni malati di eroismo postumo, tutto il merito di un movimento nazionale - ristabilire questa verità semplice, consacrata, del resto, nelle cronache del marzo 1919, che il primo nucleo costitutivo del Fascismo fu di intellettuali. Di intellettuali che, provenienti da scuole, da discipline, da tendenze diverse e finanche opposte, si ritrovavano, in grazia della rinnovatrice meditazione sofferta nel comune sacrifizio della trincera, uniti nell'improvvisa luce d'una intelligenza nuova della vita in genere, della vita politica italiana in ispecie.
Il Fascismo è di origini squisitamente intellettuali.
Quando l'on. Giovanni Amendola, nel suo discorso di Napoli, parla in tono sdegnoso e pien di sussiego della nostra mezza cultura, egli non s'accorge di procedere ad una valutazione quantitativa in ordine alla sua particolare cultura, di cui noi rifiutiamo anche la mezza parte che egli ci vuole attribuire.
Può darsi che, pesata nella bilancetta dell'orafo, secondo una misura enumerativa di cognizioni, la nostra cultura non sia neppure un quarto di quella dell'on. Amendola. Lo ammettiamo senza difficoltà. Ma come l'on. Arturo Labriola è un vivente esempio del divario che passa tra il possesso di una cultura e quello d'un carattere morale preciso e fermo, cosi l'on. Giovanni Amendola è un esempio indubitabile della differenza enorme che corre tra il possesso di una cultura e quello di una intelligenza viva e attuale, d'una facoltà cioè di comprendere la vita nell'intimo significato del suo divenire.
Noi rifiutiamo la cultura di Giovanni Amendola.
Il Fascismo, che non ha aspettato, per diventare rivoluzionario, l'anno 1921 (secondo una tesi cara all'on. Ivanoe Bonomi) è nato precisamente da un rivoluzionario gesto di rifiuto della cultura che lo precedette nella pratica e nei metodi di governo delle vecchie classi dirigenti.
Rifiutare la cultura del secolo XIX° non significa votarsi all'ignoranza, non significa neppure rifiutare in blocco un periodo storico determinato e risalire a ritroso il corso della tradizione.
Significa molto più semplicemente, mettere la propria intelligenza in condizioni di comprendere con immediatezza le cose, ossia di ricomprenderle, di rivalutarle.
L'on. Amendola affermava a Napoli avere egli inteso di dimostrare con l'esempio, che la vita pubblica ha, per chi nobilmente la intenda, una sua disciplina, la quale impone di non abbandonare le posizioni battute, di restare fermi al proprio posto, quando tutte le prospettive sembrano chiuse, di resistere per resistere. L'on. Amendola è evidentemente un nostalgico della sua cultura. Nessuno glielo impedisce. Le nostalgie sono dei solitari piaceri insindacabili. Ognuno Ha le nostalgie che si merita.
Ma permetta egli a noi, e lo permettano con lui gli uomini della sua generazione e della sua cultura, di essere, anziché dei nostalgici di posizioni battute, gli ansiosi di posizioni nuove nel mondo della cultura, ci permetta egli di lasciare che la nostra intelligenza di generazioni nuove si lanci in una revisione, distruttiva e costruttiva insieme, di tutta la civiltà moderna, sia pure che la dura esperienza ci debba persuadere a riaccettare un giorno molti dei lavori che oggi respingiamo come inattuali e superati. Il Fascismo è una rivoluzione di intellettuali. Dirò più esplicitamente: è una rivoluzione intellettuale.
Se è vero, come è vero, che il problema centrale del Fascismo è, ancor oggi, tanto nell'ordine nazionale quanto nel suo ordine interno di organizzazione di parte, quello della creazione di una nuova classe dirigente, ciò non significa che quella prima pattuglia che nel marzo del 1919 si adunò intorno a Benito Mussolini abbia fallito alle sue premesse intellettuali di negazione della vecchia cultura e di creazione della nuova. Significa, invece, che il compito storico del Fascismo, che nel marzo del 1919 si presentò alla mente del suo fondatore e dei suoi primi seguaci in tutta la sua terribile vastità, permane a cinque anni di distanza, con tutto il peso della sua enorme responsabilità.
Le dure necessità della lotta antibolscevica, che fu, secondo noi, aspetto secondario e non principale del Fascismo, impedirono l'assolvimento di quel compito. Non si poteva filosofare con il nemico alle porte. Ma rimosso l'ostacolo, conquistato il potere, il problema delle origini si ripropone in tutta la sua interezza.
Questo problema è di rivoluzione intellettuale. Così noi rispondiamo agli oppositori, che tentano di gettare nel nostro cammino l'equivoco d'una rivoluzione esaurita in uno sforzo puramente muscolare e ci negano il diritto di creare la politica nuova della nuova Italia, e rispondiamo, anche, mi sia permesso affermarlo senza ambagi, a quei fascisti i quali incedono nell'equivoco antifascista dell'opposizione, quando disgraziatamente tentano di elevare a teoria aspetti superati o transeunti della nostra azione politica.
Giuseppe Bottai
Estratto da "Autobiografia del fascismo" di Renzo De Felice, Einaudi, pag. 136-139
giovedì 7 luglio 2011
Una repubblica che vive nel passato
E' chiaro che questo stato, frutto dell'odio, non può che generare altro odio. "Il sangue chiama sangue" diceva Pisanò, ma stiano attenti i merdaliani, un giorno potranno essere essi stessi travolti dall'odio che hanno sapientemente fomentato.
sabato 2 luglio 2011
La Repubblica delle banane governata da Codardi
ROMA -All'indomani del via libera del Consiglio dei Ministri al decreto rifiuti - passato con il 'no' della Lega - il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo emana ma ne sottolinea i limiti ("non appare rispondente alle attese e tantomeno risolutivo") e chiede, nel contempo, un nuovo e più efficace intervento del Governo. Il Capo dello Stato auspica anche "l'effettivo superamento di una emergenza di rilevanza nazionale attraverso una piena responsabilizzazione di tutte le istituzioni insieme con le autorità locali della Campania". Dal canto suo, il governatore campano Caldoro, ha subito avviato i primi contatti per il trasferimento dell'immondizia fuori regione. Richieste sono state inoltrate in Puglia, Emilia Romagna, Marche, Calabria, Toscana e Friuli Venezia Giulia mentre si continua a lavorare per allargare il fronte. Aperture giungono dalla Liguria ma, fanno sapere dal capoluogo ligure, "sarà la giunta a decidere se accettare l'immondizia".
In questa vicenda si riassume l'intera crisi di una classe politica imbelle, incapace di saper risolvere i problemi e i bisogni del suo popolo, trincerata nelle prebende e nei privilegi garantiti loro da uno Stato-fantasma abulico, asettico e astratto. La crisi dei rifiuti in Campania si protrae da quasi vent'anni, da quando nel 1994 il governo ne dichiarò lo stato di emergenza nominando un apposito commissario straordinario. Non è concepibile, in nessuno Stato Civile del mondo, che in venti anni non si riesca a sanare una crisi e ad assicurare al popolo napoletano i più elementari diritti di igiene, ordine e pulizia, popolo a cui va il nostro più alto elogio per i limiti di sopportazione e la pazienza dimostrata. Eppure i napoletani dovrebbero, da queste vicende, trarre le necessarie conclusioni e prendere coscienza del fatto che codesto "problema particolare" è solo il sintomo (uno dei tanti!) di un più vasto "problema generale", ossia è la diretta conseguenza dell'inesistenza di uno Stato degno di questo nome, al cui posto permane una tragica operetta di codardi priva della necessaria spina dorsale, i quali non rappresentano la volontà popolare ma soltanto i loro particolari interessi.
Leggiamo per un attimo le cause immediate di questa situazione:
Le cause alla base dell'emergenza rifiuti in Campania sono complesse: vi è una commistione di errori tecnico-amministrativi e di interessi politici, industriali e malavitosi. Di fatto, esse possono essere in parte individuate nei ritardi di pianificazione e di preparazione di discariche idonee, avvenute solamente dal 2003; nell'inadeguato trattamento dei rifiuti urbani nei sette impianti di produzione di combustibile derivato dai rifiuti (cdr), originariamente costruiti e gestiti da società del Gruppo Impregilo; nei ritardi nella pianificazione e nella costruzione di inceneritori, dovuti anche a prescrizioni della magistratura sui progetti in essere e finalizzate ad una maggiore tutela dell'ambiente e a contrastare la camorra; nei ritardi nella pianificazione e nella costruzione di impianti di compostaggio della frazione organica dei rifiuti proveniente da raccolta differenziata, ed infine nei bassi livelli medi della stessa, che nel 2007 nella Provincia di Napoli si fermava ad un misero 8%. Al di là delle cause tecniche ed amministrative, va però anche sottolineato come lo stato di emergenza rappresenti di per sé una situazione economicamente vantaggiosa non solo per la criminalità organizzata campana - che con la gestione illecita dei rifiuti raccoglie profitti anche maggiori che con il traffico di droga o le estorsioni - ma anche per larghi settori dell'imprenditoria legale (dietro la quale si cela spesso comunque la camorra), che da un lato approfitta del sistema di smaltimento illegale per abbattere i costi, e dall'altro entra direttamente nella gestione della crisi. Ciò determina quindi il perpetuarsi di una situazione in cui, di fronte a forti interessi economici, più o meno criminali, stanno istituzioni politiche dimostratesi finora incapaci di contrastarli, quando non li abbiano addirittura favoriti.
È stata infine criticata la natura stessa del Commissariato il quale, essendo col tempo diventato di fatto un ente "ordinario", con una certa autonomia di spesa e soprattutto con un certo numero di dipendenti, si è trovato in una situazione di oggettivo conflitto di interessi rispetto al fine stesso per il quale era stato costituito. Infatti, una soluzione definitiva della crisi avrebbe portato anche alla liquidazione del commissariato.
Ritardi, carenze, manchevolezze, commistioni con la camorra... ve n'è abbastanza per mandare dinanzi ad un tribunale tutta la classe politica campana coinvolta, i responsabili della società Impregilo, l'amministrazione responsabile della situazione creata. Situazione che, di fatto, ha avvantaggiato la criminalità organizzata, come si legge sullo stenografico della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse del 14 maggio 1998:
« La criminalità organizzata di stampo camorristico continua ad intervenire in maniera diretta sui traffici illeciti di rifiuti, lucrando notevoli somme di denaro: si tratta di un'affermazione che ha avuto una corale evidenza nel corso delle audizioni e che quindi va assunta in questa relazione. Del resto, sono stati anche i collaboratori di giustizia a illustrare a questa Commissione lo schema di intervento della camorra, nonché una versione storicizzata dei fatti. La criminalità organizzata si pone come terminale del traffico, nel senso che assicura il territorio ove smaltire illecitamente i rifiuti: può fare ciò perché è la camorra stessa a controllare e gestire ogni metro quadro di ampie aree del territorio campano. In particolare la provincia di Caserta presenta zone controllate manu militari dalla criminalità organizzata, che addirittura organizza staffette per pattugliare le strade e attua attività di controllo sulle macchine non conosciute che transitano per quelle vie. »
Forse è proprio per salvaguardare questi illeciti interessi economici che lo Stato in venti anni non ha mosso un dito, limitandosi ad interventi blandi e futili, lasciando al suo destino il popolo napoletano. A questa inerzia, a questa criminalità, è ora di dire basta!
Vogliamo uno Stato, uno Stato Etico che si faccia interprete della Volontà Nazionale risolvendo in maniera immediata gli Oggettivi problemi Popolari. Uno Stato che sappia trattare il problema campano come un problema di ordine nazionale, non locale. Un problema, qualsiasi problema, che ha un impatto più o meno catastrofico sui cittadini dello Stato è un problema nazionale e come tale lo Stato ha il Dovere di risolverlo in tempi celeri, impiegando e mobilitando tutti gli uomini e tutte le energie. E se per risolvere tale problema fosse necessario abbattere la camorra e la criminalità, lo Stato ha il Dovere di inviare l'esercito in Campania e spazzare via ogni residua resistenza. Se gli imprenditori si dimostrano inadeguati e non all'altezza, lo Stato ha il Dovere di assumere la gestione diretta di tali imprese e portare a termine in tempi brevi i lavori iniziati. Se il problema risiede nella mancanza di discariche per lo smaltimento di rifiuti, lo Stato ha il Dovere di costruire degli impianti preposti a tale scopo (non in prossimità del Parco Nazionale del Vesuvio come Terzigno) e renderli operativi nel giro di pochissimi mesi. Uno Stato che in vent'anni non ha saputo risolvere questa crisi, cedendo agli interessi particolaristici di gruppi organizzati, è uno stato fallimentare che deve essere sostituito. La Repubblica delle banane è governata da incapaci e codardi che hanno già distrutto il nostro passato, impediamo che distruggano anche il nostro futuro.
venerdì 1 luglio 2011
Fascismo e situazione legislativa
Chiariamo ogni dubbio a riguardo con gli articoli del codice e della Costituzione che ci riguardano:
Articolo 21 - costituzione
Dodicesima disposizione finale e transitoria - costituzione
Legge Scelba - codice penale
Legge Mancino - codice penale
Art. 21 della Costituzione dal sito del Senato:
"Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni."
XII disposizione transitoria della Costituzione, dal sito del Senato:
"E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In deroga all'articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall'entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista."
Il "disciolto partito fascista" è quello storico, non riorganizzabile non essendoci gli esponenti di allora.
Infatti ciò non implica il divieto di fondare UN partito Fascista.
Emblematico il caso del P.F.R., rifondato nel 2007 e assolto nel processo per apologia di Fascismo, perché, in fin dei conti, non è altro che un partito "virtuale" come tanti che oltre a non costituire nessun pericolo per l' antifascismo, fomenta e conferma i falsi stereotipi nei nostri confronti, ostacolandoci ulteriormente.
Inoltre, essendo una disposizione transitoria, dovrebbe produrre effetti solo durante la, appunto, transazione dal Regno alla Repubblica.
Legge scelba, potete trovare qui il testo integrale:
http://www.miolegale.it/normativa/117-Legge-Scelba-l-645-1952-partito-fascista.html
Partendo dal presupposto che una legge contenente norme attuative di una disposizione finale e transitoria, fatta dopo sei anni dall' entrata in vigore della Costituzione, che per di più contrasta con un articolo del corpo principale della stessa (Art. 21), è gia di per sè anti-costituzionale.
Inoltre, in questa legge si parla di persecuzione razziale, incitamenti a odio e violenze, banda armata e apologia di nazismo.
Tutte cose che con noi non hanno nulla a che vedere,
Per chiudere, è degno di nota l' Art. 9 della suddetta legge Scelba (scialba), che indica come indottrinare gli studenti spiegando come devono essere scritti i testi scolastici, in funzione rigorosamente antifascista.
Sono stati fatti una manciata di processi per "apologia di Fascismo" (Almirante, Movimento Fascismo e Libertà) finiti con l' assoluzione e con un bel "il fatto non costituisce reato" anche da parte della corte di Cassazione.
Chissà per quale motivo, viene da chiedersi. Forse non sono e non sono stati un reale pericolo per la plutocrazia italiana?
Possiamo operare in piena LIBERTA', nelle forme e nei modi previsti dalla legge, come noi operiamo.
Art. 21.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure (...).