II Fascismo è religione
Signori, il fascismo è un partito, una dottrina politica. Ma
il fascismo, - e questa è la sua forza, lo sappiano quelli che ancora non se ne
sono capacitati; questo è il suo gran merito, e il segreto del prestigio che
esercita su tutti gli animi che non sono vittima del chiacchierio maligno e
interminabile di certi giornali - in tanto è un partito, una dottrina politica,
in quanto prima di tutto è una concezione totale della vita. Non si può essere
fascisti in politica e non fascisti, come ricordavo testè alla Sezione del
fascio, in scuola, non fascisti nella propria famiglia, non fascisti nella
propria officina. Come il cattolico, se è cattolico, investe del suo sentimento
religioso tutta la propria vita, e, parli ed operi, o taccia e pensi e mediti
nella propria coscienza, o accolga e nutra dei sentimenti, se veramente è
cattolico, e ha senso religioso, si ricorderà sempre del più alto monito della
sua mente, per operare e pensare e pregare e meditare e sentire da cattolico;
così il fascista, vada in Parlamento, o se ne stia nel Fascio, scriva sui
giornali o li legga, provveda alla sua vita privata o conversi con gli altri,
guardi all'avvenire o ricordi il suo passato e il passato del suo popolo, deve
sempre ricordarsi di essere fascista! Così si adempie quella che veramente si
può dire la caratteristica del fascismo, di prendere sul serio la vita. La vita
è fatica, è sforzo, è sacrificio, è duro lavoro; una vita in cui sappiamo bene
che non c'è da divertirsi, non si ha il tempo di divertirsi. Innanzi a noi sta
sempre un ideale da realizzare; un ideale che non ci dà tregua.
Non possiamo perder tempo. Anche dormendo, dobbiamo rispondere dei talenti che ci sono stati affidati. Dobbiamo farli fruttare, non per noi che non siamo niente, ma per il nostro paese, per la Patria, per questa Italia che ci riempie il cuore con le sue memorie e con le sue aspirazioni, con le sue gioie e con i suoi travagli, che ci rampogna per i secoli che i nostri padri perdettero, ma che ci riconforta con i recenti ricordi, quando lo sforzo italiano apparve un miracolo; quando l'Italia tutta si raccolse in un pensiero, in un sentimento, in un desiderio di sacrificio. E furono appunto i giovani, fu la giovine Italia del Profeta, che fu pronta, corse al sacrificio, e morì per la Patria. Morì per l'ideale per cui soltanto gli uómini possono vivere, per cui gli uomini possono sentire la serietà della vita. E pensando a questi ricordi recenti in cui si concentrano tutte le memorie della nostra stirpe, in cui e da cui prendono le mosse tutte le speranze del nostro avvenire, noi che abbiamo coscienza di italiani, coscienza fascista, noi sentiamo di non potere i nostri seicentomila morti non vederli sempre innanzi a noi, risorti ad ammonirci che la vita deve essere presa sul serio, che non c'è tempo da perdere, che l'Italia deve essere fatta grande come essi la videro nel loro ultimo sogno, come grande deve essere e sarà se anche noi per essa ci sacrificheremo, giorno per giorno, sempre.
Non possiamo perder tempo. Anche dormendo, dobbiamo rispondere dei talenti che ci sono stati affidati. Dobbiamo farli fruttare, non per noi che non siamo niente, ma per il nostro paese, per la Patria, per questa Italia che ci riempie il cuore con le sue memorie e con le sue aspirazioni, con le sue gioie e con i suoi travagli, che ci rampogna per i secoli che i nostri padri perdettero, ma che ci riconforta con i recenti ricordi, quando lo sforzo italiano apparve un miracolo; quando l'Italia tutta si raccolse in un pensiero, in un sentimento, in un desiderio di sacrificio. E furono appunto i giovani, fu la giovine Italia del Profeta, che fu pronta, corse al sacrificio, e morì per la Patria. Morì per l'ideale per cui soltanto gli uómini possono vivere, per cui gli uomini possono sentire la serietà della vita. E pensando a questi ricordi recenti in cui si concentrano tutte le memorie della nostra stirpe, in cui e da cui prendono le mosse tutte le speranze del nostro avvenire, noi che abbiamo coscienza di italiani, coscienza fascista, noi sentiamo di non potere i nostri seicentomila morti non vederli sempre innanzi a noi, risorti ad ammonirci che la vita deve essere presa sul serio, che non c'è tempo da perdere, che l'Italia deve essere fatta grande come essi la videro nel loro ultimo sogno, come grande deve essere e sarà se anche noi per essa ci sacrificheremo, giorno per giorno, sempre.
(Giovanni Gentile, Conferenza tenuta a Firenze, nel Salone dei Cinquecento, l’8 marzo 1925 e pubblicato nel volume “Che cosa è il fascismo”, Vallecchi, Firenze, 1925).
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