PRIMATO FASCISTA E' L'ORGANO UFFICIALE DEI FASCISTI RIVOLUZIONARI
“Fondiamo questo foglio con volontà di agire sulla storia italiana. Contro la filosofia regnante, che fermamente avverseremo, non ammettiamo che tutto sia “Storia”: storia non è quel che passa, è quel che dura […]. Ci basta che dieci abbiano inteso, e si siano dati la mano; che codesto fascicolo di trenta pagine sia stato prova di vita fra tanta inerzia d’uomini, affermazione chiara e dura fra tanta dubbiezza, falsità, fragilità di scrittori, e resti documento dell’epoca Fascista, principio anzi di quella rivoluzione intellettuale che noi compiremo.” Berto Ricci, da “l’Universale”, 3 gennaio 1931.

sabato 9 luglio 2011

II Fascismo come rivoluzione intellettuale di G. Bottai

Io vi parlerò questa sera, il linguaggio di un iscritto al Partito Nazionale Fascista, orgoglioso di avere la tessera del Partito Nazionale Fascista.
Non vi sembri superflua questa dichiarazione preliminare. Per quanto nulla predisponga ancora il nostro Partito ad una interna suddivisione di tendenze, mirabile essendo, sotto la pressione degli avversari non ancora persuasi a rivedere le dottrine proprie e i propri metodi in funzione dei tempi nuovi, l'unità interiore, morale e spirituale, della nostra organizzazione nel quintuplice ordine del suo inquadramento, politico, militare, sindacale, cooperativo e tecnico, per quanto, dico, nonostante le polemiche recenti e alcuni buffoneschi secessionismi, il Partito conservi la sua forza compatta ed urgente, non è senza motivo, che io, proponendomi un discorso il più possibile sereno e pacato, polemico per intima passione più che per artificiosa virulenza, premetta la dichiarazione esplicita della mia prammatica appartenenza all'organizzazione ufficiale del Partito Nazionale Fascista.
Più forte, essendomi io, dopo la vittoria, eletto tra tutti il compito più arduo, che è quello di richiamare i vittoriosi piuttosto alla responsabilità che ai vantaggi della vittoria, ho visti levarsi verso di me indici accusanti di giudici severi o supplici mani di timorosi, gli uni deprecanti il mio linguaggio serenamente critico, gli altri ansiosi di sentire appagato dal mio esame obiettivo il loro irragionevole e catastrofico pessimismo.
Ma io ignoro, per temperamento e per studio, le infatuazioni. Le infatuazioni della disciplina, che diviene cecità, le infatuazioni dello spirito critico, che diviene anarchia intellettuale.
Ho servito il Fascismo, dalle origini, dal marzo del 1919, come un fenomeno di reazione intellettuale e spirituale, quindi con la intelligenza e con lo spirito, forte, dinanzi agli avversari accampanti contro di noi i diritti della cultura, d'una forza più valida e pronta della forza muscolare e ho portato nell'uso di questa il senso vigile della necessità e della misura, aiutato in ciò da una esperienza viva, sui campi di battaglia, di quell'arditismo italico, che non fu se non un fenomeno della nostra intelligenza di popolo giovine risolventesi in audacia sotto l'armonica legge della necessità.
Se ho sempre riconosciuta l'origine del Fascismo come non teorica e non logica, come non dovuta ad un compendio sistematico e preordinato di idee o ad un gelido calcolo della ragione, se, anzi, in tale non teoricità e alogicità ho sempre riscontrato uno dei pregi del movimento fascista e uno dei secreti del suo rapido ed impetuoso successo, sviluppantesi con la meccanica progressività di una reazione istintiva, naturale, non ho mai creduto che l'intelligenza, nel senso più limpido e puro di questa bella parola latina e italiana, fosse da quell'origine assente.
Sarà bene dinanzi a certe deformazioni manganellistiche che si attardano ai margini del Fascismo e in forza di cui si tenterebbe, con gioco ridicolo e turpe, di rivendicare alla manesca bravura di alcuni malati di eroismo postumo, tutto il merito di un movimento nazionale - ristabilire questa verità semplice, consacrata, del resto, nelle cronache del marzo 1919, che il primo nucleo costitutivo del Fascismo fu di intellettuali. Di intellettuali che, provenienti da scuole, da discipline, da tendenze diverse e finanche opposte, si ritrovavano, in grazia della rinnovatrice meditazione sofferta nel comune sacrifizio della trincera, uniti nell'improvvisa luce d'una intelligenza nuova della vita in genere, della vita politica italiana in ispecie.
Il Fascismo è di origini squisitamente intellettuali.
Quando l'on. Giovanni Amendola, nel suo discorso di Napoli, parla in tono sdegnoso e pien di sussiego della nostra mezza cultura, egli non s'accorge di procedere ad una valutazione quantitativa in ordine alla sua particolare cultura, di cui noi rifiutiamo anche la mezza parte che egli ci vuole attribuire.
Può darsi che, pesata nella bilancetta dell'orafo, secondo una misura enumerativa di cognizioni, la nostra cultura non sia neppure un quarto di quella dell'on. Amendola. Lo ammettiamo senza difficoltà. Ma come l'on. Arturo Labriola è un vivente esempio del divario che passa tra il possesso di una cultura e quello d'un carattere morale preciso e fermo, cosi l'on. Giovanni Amendola è un esempio indubitabile della differenza enorme che corre tra il possesso di una cultura e quello di una intelligenza viva e attuale, d'una facoltà cioè di comprendere la vita nell'intimo significato del suo divenire.
Noi rifiutiamo la cultura di Giovanni Amendola.
Il Fascismo, che non ha aspettato, per diventare rivoluzionario, l'anno 1921 (secondo una tesi cara all'on. Ivanoe Bonomi) è nato precisamente da un rivoluzionario gesto di rifiuto della cultura che lo precedette nella pratica e nei metodi di governo delle vecchie classi dirigenti.
Rifiutare la cultura del secolo XIX° non significa votarsi all'ignoranza, non significa neppure rifiutare in blocco un periodo storico determinato e risalire a ritroso il corso della tradizione.
Significa molto più semplicemente, mettere la propria intelligenza in condizioni di comprendere con immediatezza le cose, ossia di ricomprenderle, di rivalutarle.
L'on. Amendola affermava a Napoli avere egli inteso di dimostrare con l'esempio, che la vita pubblica ha, per chi nobilmente la intenda, una sua disciplina, la quale impone di non abbandonare le posizioni battute, di restare fermi al proprio posto, quando tutte le prospettive sembrano chiuse, di resistere per resistere. L'on. Amendola è evidentemente un nostalgico della sua cultura. Nessuno glielo impedisce. Le nostalgie sono dei solitari piaceri insindacabili. Ognuno Ha le nostalgie che si merita.
Ma permetta egli a noi, e lo permettano con lui gli uomini della sua generazione e della sua cultura, di essere, anziché dei nostalgici di posizioni battute, gli ansiosi di posizioni nuove nel mondo della cultura, ci permetta egli di lasciare che la nostra intelligenza di generazioni nuove si lanci in una revisione, distruttiva e costruttiva insieme, di tutta la civiltà moderna, sia pure che la dura esperienza ci debba persuadere a riaccettare un giorno molti dei lavori che oggi respingiamo come inattuali e superati. Il Fascismo è una rivoluzione di intellettuali. Dirò più esplicitamente: è una rivoluzione intellettuale.
Se è vero, come è vero, che il problema centrale del Fascismo è, ancor oggi, tanto nell'ordine nazionale quanto nel suo ordine interno di organizzazione di parte, quello della creazione di una nuova classe dirigente, ciò non significa che quella prima pattuglia che nel marzo del 1919 si adunò intorno a Benito Mussolini abbia fallito alle sue premesse intellettuali di negazione della vecchia cultura e di creazione della nuova. Significa, invece, che il compito storico del Fascismo, che nel marzo del 1919 si presentò alla mente del suo fondatore e dei suoi primi seguaci in tutta la sua terribile vastità, permane a cinque anni di distanza, con tutto il peso della sua enorme responsabilità.
Le dure necessità della lotta antibolscevica, che fu, secondo noi, aspetto secondario e non principale del Fascismo, impedirono l'assolvimento di quel compito. Non si poteva filosofare con il nemico alle porte. Ma rimosso l'ostacolo, conquistato il potere, il problema delle origini si ripropone in tutta la sua interezza.
Questo problema è di rivoluzione intellettuale. Così noi rispondiamo agli oppositori, che tentano di gettare nel nostro cammino l'equivoco d'una rivoluzione esaurita in uno sforzo puramente muscolare e ci negano il diritto di creare la politica nuova della nuova Italia, e rispondiamo, anche, mi sia permesso affermarlo senza ambagi, a quei fascisti i quali incedono nell'equivoco antifascista dell'opposizione, quando disgraziatamente tentano di elevare a teoria aspetti superati o transeunti della nostra azione politica.




Giuseppe Bottai

Estratto da "Autobiografia del fascismo" di Renzo De Felice, Einaudi, pag. 136-139

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