PRIMATO FASCISTA E' L'ORGANO UFFICIALE DEI FASCISTI RIVOLUZIONARI
“Fondiamo questo foglio con volontà di agire sulla storia italiana. Contro la filosofia regnante, che fermamente avverseremo, non ammettiamo che tutto sia “Storia”: storia non è quel che passa, è quel che dura […]. Ci basta che dieci abbiano inteso, e si siano dati la mano; che codesto fascicolo di trenta pagine sia stato prova di vita fra tanta inerzia d’uomini, affermazione chiara e dura fra tanta dubbiezza, falsità, fragilità di scrittori, e resti documento dell’epoca Fascista, principio anzi di quella rivoluzione intellettuale che noi compiremo.” Berto Ricci, da “l’Universale”, 3 gennaio 1931.

mercoledì 14 dicembre 2011

L'Italia S.p.A. nella partitocrazia plutocratica

Da più parti ci si domanda quali siano le ragioni della crisi globale che attanaglia il mondo. Puerile pensare di poter fornire una risposta altrettanto globale, e sicuramente ci sono ragioni che esulano dai temi del presente lavoro. Possiamo però tentare di individuare alcune tra le più subdole cause dell'attuale condizione italiana. Possiamo asserire senza tema di smentita che l’attuale crisi politico-economica, in Italia, è principalmente espressione dello sgretolamento del sistema solo apparentemente democratico che ci governa dall’avvento dell’era repubblicana. 
Un’era figlia della più colossale e dannosa menzogna in cui l’Italia sia stata attirata.
Sin dal dopoguerra si è assistito al proliferare di varie concezioni del rapporto tra Stato e Cittadino, concretizzatesi nei più fantasiosi orientamenti sulle priorità dell’azione politica e di governo. Gruppi di pensiero si sono aggregati dando luogo alla formazione di partiti che ne fossero espressione e che concorressero all’agòne politico per governare lo Stato. Si è così diffusa una convinzione: che cioè uno Stato non potesse dirsi democratico finché non garantisse la facoltà di concorrere con differenti visioni della Cosa Pubblica al governo della stessa. 
Nasceva così il multipartitismo, visto come garanzia dell’alternanza al Governo. 
L’alternanza, come valore irrinunciabile di ogni democrazia che volesse assistere alla crescita ed all'evoluzione dello Stato attraverso Governi che fossero, via via nel tempo, espressione delle mutevoli istanze ed esigenze della popolazione.
Detta così, suonerebbe quasi bene.
La realtà, purtroppo, è ben diversa. 
Il multipartitismo non è nato, in Italia, come naturale germinazione del libero pensiero, ma come “antidoto” all'odiato totalitarismo fascista.
Beninteso, odiato principalmente per la sua onestà intellettuale. L'Era Fascista aveva infatti dimostrato, in un ventennio di conquiste sociali, quale fosse la via da seguire per il buon governo dello Stato. Un Governo che non avrebbe arricchito governanti e gruppi di potere economico, ma l'Italia tutta. Un Governo fondato sul rigore e sull'onestà; in una parola, sul superamento dei personalismi. 
Prendere le distanze dal Fascismo era quindi di vitale importanza, in quanto i valori di cui l'era Fascista era stata portatrice erano del tutto incompatibili con la smania di gestire lo Stato ad uso e consumo di vecchi e nuovi potentati, finalmente liberi di spadroneggiare e spartirsi la torta, con la benedizione del governante di turno.
Il primo passo verso la conquista della libertà di costituire l'Italia S.p.A., o meglio Italia Inc., all'anglosassone, fu attuato garantendo a qualunque partito la facoltà di competere sul piano politico per il suo governo. 
Il sacro cardine su cui far ruotare ogni certezza di garanzia della democraticità del sistema fu “molti partiti = molta libertà per tutti”.
“Tutti” loro, ovviamente. Tutti i partiti, intendo, dato che gli unici ad aver tratto giovamento dal multipartitismo sono stati proprio i partiti. 
E così, equamente sfilacciata tra l'influenza americana, vaticana, finanziaria, massonica, capitalistica, populistico/sinistroide e chissà quant'altro, la politica “democratica” e partitocratica altro non si è rivelata essere se non un coacervo di interessi particolari, misere piccinerie e miserabili baratti. 
Un luogo in cui eserciti di aspiranti governanti, da destra a sinistra passando per il centro, non si preoccupano minimamente del benessere pubblico, quanto piuttosto di quello proprio. E' solo un sottile sipario, al cui aprirsi i partiti manifestano liti e critiche reciproche, ma dietro al quale, non appena si spengono i riflettori, si tessono trame di malaffare e di immorale fedeltà.

La partitocrazia ha ormai dimostrato tutti i suoi limiti, rivelandosi come un organismo parassita ed auto-referenziato, dotato di grande capacità mimetica e manipolatrice. 
Con eccelse capacità affabulatorie, è riuscita a persuadere il cittadino a ritenerla necessaria al suo benessere, conseguendo il brillante risultato di dividere la popolazione in fazioni sociali contrapposte, al seguito di questo o quel partito.
A pensarci, non ha alcuna importanza capire se tutto ciò abbia costituito l'oggetto di un patto scellerato tra partiti, piuttosto che una casuale beffa del destino.
Il dato di fatto ineludibile è comunque che i nefasti effetti della partitocrazia sono in re ipsa; sono conseguenze fisiologiche di un sistema patologico, semplicemente inadatto a governare.
Ciò che conta è solo raccattare voti, scendendo ai patti più meschini con qualunque potere socio/economico in grado di garantirli e lottizzando ogni centro di interesse in relazione al successo elettorale conseguito.
Se qualcuno s'è già garantito l'appoggio elettorale di un potentato, il suo avversario politico non avrà infatti altra via se non aderire ad un'altro potentato che ne sostenga l'ascesa politica, in cambio di qualcosa.
Altro che libertà....

E' il trionfo della partitocrazia plutocratica, quel sistema occulto e strisciante in cui i Governi sono al contempo espressione e garanzia dei potentati che li sostengono.
Ma se il proliferare dei partiti ha dato l'impressione di rispondere all'esigenza popolare di diversificazione dell'offerta politica, col passare del tempo la loro eccessiva frammentazione ha iniziato a confondere l'elettore, spesso incapace di cogliere le sovente inesistenti differenze tra forze politiche. A ciò si aggiunga il fatto che l'altra perfida invenzione della “democrazia” italiana, la “libertà dal vincolo di mandato”, autorizza espressamente il parlamentare a saltare impunemente da un partito all'altro, rendendo più difficile la vita al suo originario partito e più facile a quello che lo riceve.
A tale disfunzione il sistema ha reagito contraendosi in posizione difensiva e scatenando i suoi anticorpi.



Ha così creato il bipolarismo. 
Due grossi calderoni in cui rimestare tutto il fango di destra e sinistra con una dose di candeggiante.
Ma anche il bipolarismo, com'era ovvio che fosse, ha mostrato i suoi insormontabili limiti ed il rimedio è stato, se possibile, anche peggiore del male.
Aggregare forme di pensiero (e di interessi...) differenti per soli e, quel che è peggio, dichiarati ed istituzionalizzati fini elettorali, è frutto di una distorsione mentale impressionante, placidamente metabolizzata dal popolo, a cui è stata propinata come gustosa polpetta avvelenata. 
Ciascun polo è stato costituito aggregando l'impossibile, prostituendo ogni ipotetico valore di cui ciascun componente fosse portatore, in vista del raggiungimento della più ampia possibile platea elettorale. 
Lo scopo è stato ovviamente raggiunto, e prova di ciò sia la constatazione di come ciascuna forza politica moderna annoveri tra i suoi elettori rappresentanti di ogni ceto sociale e condizione personale, dall'operaio al professionista, dall'industriale al pensionato. Ciò dimostra che, in realtà, ogni aggregazione politica è priva di un'identità autonoma e si fonda su un amalgama di “valori” confezionati solo a fini elettorali, per piacere al maggior numero possibile di votanti. 
Ma come giustificare lo svincolo di blocchi politici (apparentemente) contrapposti dai princìpi propri delle loro singole originarie componenti sociopolitiche, tentando al contempo di mantenere quel decoro istituzionale di facciata, necessario a raccattare voti?
Semplicissimo. 
Basta rinnegare l'unico vero valore che giustifichi ogni azione politica: l'ideologia.
Quel valore supremo che vale una vita. O una morte.
La classe politica ha cercato di rendere più accettabili ed “universali” le sue castronerie sostenendo come non fossero espressione di posizioni ideologiche, con ciò sottintendendo che una posizione “ideologica” fosse di per sé settaria e quindi non di generale interesse.
E così ha di fatto pensionato il concetto stesso di ideologia, mettendo il coperchio su di un sistema politico basato sull'omologazione e la mistificazione.
Naturalmente la grande menzogna della partitocrazia plutocratica auto-referenziata non riesce sempre a fare breccia nel cuore degli Italiani, che saranno anche poeti e sognatori, ma non del tutto fessi.
Ed infatti si assiste ormai da diversi anni alla loro progressiva diserzione dalle Urne elettorali.
Ma ormai, nonostante la nausea che pervade l'italico popolo per la politica, il danno è purtroppo fatto: “democratico” è, nella comune accezione, il sistema multipartitico, o bipolare che dir si voglia, in cui i partiti o poli si controllino e limitino a vicenda alternandosi alla guida dello Stato senza lasciarsi condizionare da posizioni “ideologiche” e pensando solo al bene comune.
Ma, in definitiva, se il multipartitismo ed il bipolarismo hanno segnato il passo e rivelato la loro inettitudine, cosa mai può continuare a sostenere la comune convinzione che costituiscano l'essenza della democrazia?
Il pregiudizio. Solo il pregiudizio.
Vediamo in che senso. 
Immaginiamo che esista uno Stato in cui la Costituzione ne individui le fondamenta nel lavoro…proprio come l’Italia, per esempio. 
Ma un’Italia coerente ed onesta, però.
Immaginiamo che questo Stato si comporti come l’ideale del suo nucleo più intimo: la famiglia. Che quindi, come in una famiglia, il governante - padre (ma naturalmente anche madre, in egual misura) miri a rinforzare la famiglia stessa, nei suoi valori come nella sua economia, attraverso il lavoro, per garantire una vita libera ed indipendente a sé-famiglia ed ai suoi figli.
In questo ipotetico Stato, come nelle famiglie che lo costituiscono, sarebbe ovviamente naturale un avvicendamento alla sua guida, determinato dall'impietoso fluire del tempo, ma non si avvicenderebbero mai i valori, eterni ed immutabili se non per qualche fisiologica evoluzione di costume.
I valori di base, però, funzionali al benessere della famiglia – stato ed a quello dei figli – cittadini, non muterebbero mai.
In questa ipotetica forma di Stato, quindi, l’alternanza di differenti forze politiche al suo vertice, e quindi di differenti concezioni dei valori e delle priorità, sarebbe solo una dannosa e confusionaria stravaganza destabilizzante e fuorviante, al pari di come lo sarebbe se ciò avvenisse alla guida della famiglia.
Ecco, in questo ipotetico Stato sarebbe scomparso il mito del multipartitismo, sostituito da un valore ben più austero, nobile e coerente: il benessere dello Stato attraverso la cura degli interessi e delle esigenze di chi, economicamente, quel benessere è chiamato a sostenere: la classe lavoratrice.
Tale classe non recherebbe alcuna differenza in sé.
Forse che qualcuno può ragionevolmente definire più importante il mestiere dell’avvocato rispetto a quello del netturbino? Vogliamo pensare a quanto tempo ci metterebbe la pestilenza a sterminare l’umanità se non esistesse la nettezza urbana?
I cittadini sarebbero uguali dinanzi allo Stato ed al lavoro, perché, ciascuno per quanto di sua competenza, col suo impegno garantisce il benessere dello Stato attraverso lavori di pari dignità. Certamente, ogni lavoro avrebbe, come ha, un determinato grado di complessità e responsabilità, e da ciò dovrebbe derivare un trattamento economico appropriato e proporzionato, in quanto lo sterile livellamento serve solo a demotivare il lavoratore.
Ma tutti, ciascuno nel suo, avrebbero pari dignità perché concorrerebbero al massimo delle loro capacità a rinvigorire quello Stato chiamato a sostenerli e proteggerli.
In questa ipotetica forma di stato, quindi, non avrebbe alcun senso parlare di partiti, come non lo avrebbe il parlare di centro, destra e sinistra, perché i suoi valori prioritari non potrebbero essere messi in discussione, al pari di quanto oggi avviene per quelli costituzionali, ai quali deve comunque informarsi ogni attività legislativa, pena la sua esclusione dall'ordinamento.
Se ci pensiamo, infatti, il concetto ci è meno estraneo di quanto sembri.
Ma allora, se viene meno il dis-valore del multipartitismo e si esalta e privilegia quello del lavoro, da chi verrebbero rappresentati i cittadini a livello parlamentare?
Come potrebbero gli Italiani far sentire la propria voce, veder creare delle leggi che, nel rispetto dei valori fondamentali dello Stato (come oggi nel rispetto della Costituzione), ne sostenessero la vita e le azioni, la famiglia e gli interessi economico-sociali?
Banalmente semplice: tramite il sistema sindacale.
In Parlamento siederebbero rappresentanti delle categorie produttive e sociali, per ciò stesso consapevoli con assoluta esattezza delle esigenze e delle priorità dei loro elettori, in quanto appartenenti essi stessi rappresentanti alla medesima categoria dei rappresentati.
La loro azione sarebbe sì di tutela verso le istanze della categoria di provenienza, ma sempre nell'ottica di base, irrinunciabile perché tratta dall'esperienza della vita familiare: va rinforzato lo Stato-Famiglia, perché possa meglio prendersi cura del Cittadino-Figlio.
Ed il Cittadino-Figlio, ben cresciuto ed allevato, sarebbe portatore di un interesse giammai personale, ma spiritualmente e materialmente collettivo, all'interno della propria famiglia. Crescerebbe illuminato e sostenuto dai valori immortali del benessere collettivo-familiare, valori che trasmetterebbe ai propri figli, da cui un giorno sarebbe sostenuto con uguale amore e dedizione.
Che meraviglia se esistesse davvero, quell'Italia.
Avrebbe abbandonato per sempre l'acritico pregiudizio secondo cui nel concetto di “partito” si incarna il valore della democrazia, nel senso che non valuterebbe più come “democratico” lo Stato per il solo fatto di essere in mano a più partiti, ma lo intenderebbe tale solo ove IL partito, unificato sotto l'egida dei valori primari dello Stato ed inteso come Classe Dirigente Politico/Amministrativa, governasse secondo il modello naturalisticamente e moralmente inappuntabile dello Stato – padre che si prende cura del suo popolo – famiglia, in rappresentazione di tutte le classi sociali e produttive. 
Che meraviglia sarebbe.
Sarebbe uno Stato Etico Corporativo.


Autore: Nero

4 commenti:

  1. ...GIA'! Che meraviglia sarebbe!

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  2. Ringrazio Adriano per l'emozione che mi ha riservato pubblicando un mio scritto. Spero solo che possa innescare in quanti nutrono riserve per la bontà dei princípi Fascisti una seria riflessione sui mali della tanto decantata democrazia.
    Nero

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  3. Complimenti per il bellissimo articolo ;)
    Mi auguro che possa aiutare davvero a risvegliare la coscienza di quanti ancora nutrono dubbi sul Fascismo.

    Ciao
    Sabrina

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