PRIMATO FASCISTA E' L'ORGANO UFFICIALE DEI FASCISTI RIVOLUZIONARI
“Fondiamo questo foglio con volontà di agire sulla storia italiana. Contro la filosofia regnante, che fermamente avverseremo, non ammettiamo che tutto sia “Storia”: storia non è quel che passa, è quel che dura […]. Ci basta che dieci abbiano inteso, e si siano dati la mano; che codesto fascicolo di trenta pagine sia stato prova di vita fra tanta inerzia d’uomini, affermazione chiara e dura fra tanta dubbiezza, falsità, fragilità di scrittori, e resti documento dell’epoca Fascista, principio anzi di quella rivoluzione intellettuale che noi compiremo.” Berto Ricci, da “l’Universale”, 3 gennaio 1931.

domenica 28 agosto 2011

Forza Nuova nemica reazionaria del Fascismo mussoliniano

Questo è il primo di una serie di articoli in cui noi fascisti rivoluzionari ci ripromettiamo di analizzare i vari partiti, gruppi, movimenti e associazioni dell'estrema destra che vengono arbitrariamente accostati al fascismo. Intendiamo, con questi articoli, denunciare la vergognosa equiparazione al fascismo di gruppi politici notoriamente xenofobi, violenti, razzisti, omofobi, clericali, bigotti, in poche parole: reazionari! Una equiparazione che fa comodo all'antifascismo di Stato che si serve di tali gruppi per stereotipare un'immagine falsa e distorta del fascismo. Forza Nuova è uno di quei gruppi che infangano con la loro condotta il nome e gli ideali del fascismo, per tale motivo è da noi considerato alla stessa stregua di un partito antifascista.
Che cos'è Forza Nuova? Quando e perchè nasce? A quali ideali si ispira? E' possibile considerarlo affine o, peggio, erede del fascismo? 
A queste ed altre domande cercheremo di dare risposta in questo articolo. 

Quando nasce Forza Nuova?

Il simbolo del partito nazionaldemocratico
tedesco (Nationaldemokratische
 Partei Deutschlands)
In realtà Forza Nuova non è proprio una forza "nuova". Essa è una riproposizione e prosecuzione di Terza Posizione, un partito fondato da Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Peppe Dimitri nel 1976 e nei fatti disciolto nel 1980 dopo l'emissione di circa quaranta mandati di cattura per associazione sovversiva e banda armata nei confronti dei suoi dirigenti. Fiore riparò in Inghilterra grazie all'aiuto dei servizi segreti, in particolare l'MI6 britannico, ove aspettò che la condanna cadesse in prescrizione. Difatti in un documento ufficiale, ossia la Relazione pubblicata nel dicembre 1991 dalla Commissione d’inchiesta del Parlamento Europeo sul razzismo e la xenofobia, Roberto Fiore è stato indicato quale agente dell'MI6, una branca dell’Intelligence Service britannico, fin dai primi anni ottanta, infiltrato nel movimento della destra radicale nazionalista inglese, in relazione al ''National Front'' di Nick Griffin. Al suo rientro in patria, dopo oltre dieci anni di latitanza in Gran Bretagna, Fiore all’aereoporto di Fiumicino avrebbe trovato ad accoglierlo esponenti di Alleanza Nazionale (Francesco Storace, ora fuoriuscito dal partito, Enzo Fragalà, Alberto Simeone), di Forza Italia (Ernesto Caccavale), nonché il noto avvocato Carlo Taormina, difensore della cricca berlusconiana, e Paolo Giachini, difensore del nazista Erich Priebke. Nel 1997 vide la luce Forza Nuova, il cui simbolo è stato mutuato dal partito nazionaldemocratico tedesco, un un partito tedesco neonazista di estrema destra nato il 28 novembre 1964, epigono del Partito dell'Impero Tedesco.

Quali sono i suoi riferimenti ideologici?

In questa intervista i leader di FN
affermano chiaramente di non essere
fascisti, ma cattolici.
Al pari di tutti i gruppi della destra radicale, FN non ha un'ideologia articolata e coerente, ma si basa sul primato assoluto dell'azione e della militanza di piazza a cui ogni "concezione ideologica" va adattata e subordinata. In una intervista di Roberto Fiore a Matrix nel novembre 2008 e consultabile qui, il leader di FN affermò che il suo partito non si rifà al fascismo in toto, ma ne estrae i punti più significativi. Sia col fascismo, che col falangismo, col nazismo ecc. per "riadattarli", trasformarli e prenderli come punti di riferimento per l'attualità. Questa manipolazione ideologica dimostra la malafede di Forza Nuova e del suo fondatore. Forza Nuova s’ispira apertamente all'ultra cattolica e antisemita Guardia di Ferro, formazione di estrema destra rumena degli anni ‘30 guidata da Corneliu Zelea Codreanu; da qui anche la scelta simbolica della data della sua fondazione: il 29 settembre ossia il giorno in cui la cristianità celebra San Michele Arcangelo, patrono della stessa Guardia di Ferro che assunse anche il nome di Legione dell’Arcangelo Michele. Il riferimento alla Guardia di Ferro non è solo culturale, ma anche organizzativo, in quanto l’idea stessa di strutturazione in piccoli nuclei di tre, quattro elementi è direttamente mutuata da tale esperienza, così come la loro definizione Cuib (da “nido” in rumeno, peraltro già adottata da Terza Posizione). Ma è l'insieme dell'organizzazione a connotarsi sempre più per un accentuato integralismo cattolico (connotazione che nell'ideologia fascista è del tutto assente). I gruppi dirigenti di Forza Nuova sono anche giunti a riunirsi scimmiottando antiche forme della tradizione monastica, al pari dei monaci-guerrieri della Guardia di ferro. Ma Forza Nuova, nelle proprie manifestazioni, non esita nemmeno ad esibire emblemi del passato regime hitleriano. Sui giubbotti dei suoi aderenti, oltre alle croci celtiche, più volte sono stati fotografati i simboli ed i motti delle SS, come sui suoi striscioni compare il cosiddetto “dente” o “gancio del lupo”, che dir si voglia, già emblema di alcune divisioni delle Waffen-SS. Il bollettino di Forza Nuova, "Vento di Rivolta", prese le distanze dal fascismo come potete leggere qui.

La violenza come sport

Sul piano politico FN è famosa per la sua xenofobia, la sua spinta violenta e a tratti criminale, le campagne contro l'omosessualità etc. 
Molti membri di FN sono naziskin, ultras da stadio, teppa di strada che usa la violenza come sport per sfogare le proprie frustrazioni represse. Diversi, infatti, sono gli esponenti rinviati a giudizio o condannati per i più svariati episodi di violenza o collegamento con la criminalità comune: a Torino (dove nel 2000 sono stati colti in flagrante due attivisti di Forza Nuova in procinto di dar fuoco ad uno stabile abitato), a Gallarate (dove il 1° aprile 2000 una decina di naziskin e militanti di FN cercarono lo scontro con un presidio di sindacalisti) a Padova (città nella quale altri militanti e dirigenti sono stati tratti in arresto per rapina), a Roma (dove sono stati indagati “simpatizzanti” di Forza Nuova per gli attentati del 1999 ad un museo in Via Tasso e al cinema Nuovo Olimpia). Il 21 maggio 1998 la polizia di Roma diede l'avvio all'operazione "Thor" che portò a diversi arresti, denunce e perquisizioni contro un’organizzazione neonazista a carattere internazionale denominata “Hammerskinheads”, la cui ”attività di direzione”, come scrissero i giudici,“ di indirizzo e finanziamento ” era svolta da Duilio Canù e soprattutto da Roberto Fiore “quest’ultimo punto di riferimento per quanto riguarda l’impostazione ideologica e l’organizzazione del gruppo”.
Nelle audizioni davanti alla Commissioni Stragi, rese solo di un paio di anni fa dal Prefetto Ansoino Andreassi, all’epoca a capo dell’UCIGOS, si parlò apertamente di potenzialità eversive di Forza Nuova e dell’esistenza al suo interno di un livello “occulto”. 

Forza Nuova al servizio della Repubblica antifascista

La retorica violenta e di piazza non ha impedito a Forza Nuova di stringere accordi elettorali con i partiti di centro-destra e col loro leader Silvio Berlusconi. Anzi, proprio tali ripetuti accordi elettorali avvenuti sia a livello locale che nazionale hanno favorito all'interno dell'area d'estrema destra un senso generale di forza e di impunità (non è un caso che il 29 gennaio 2003 in Parlamento, Alfredo Mantovano, si oppose a nome del governo Berlusconi allo scioglimento di FN). Tra il 2003 ed il 2006 Forza Nuova ha collaborato con Alternativa Sociale di Alessandra Mussolini presentandosi alle elezioni politiche del 2006 con la CDL di Berlusconi. Partiti come Forza Nuova servono al sistema antifascista per perpetuare la retorica antifascista e abbattere le potenzialità rivoluzionarie del fascismo, associandolo a queste teste pelate.

Il Fascismo rivoluzionario contro i forzanovisti reazionari e borghesi

A questo punto sono chiare e palesi le differenza abissali che esistono tra l'Ideologia Fascista e l'Ideologia forzanovista, che è un miscuglio di idee reazionarie, tradizionaliste e cattoliche. I nuclei di base di Forza Nuova, al pari di quelli della Legione di San Michele Arcangelo, vengono chiamati "cuib". “L’appartenenza al CUIB - si legge nel codice militante - deve diffidare dall’attuale magma islamico il quale figlio caotico del cancro sionista offende la dignità, lo spirito e la storia europea. La fede ci unisce e nel tradizionalismo cattolico troviamo i cardini della nazione europea: Dio, Patria e Famiglia”. In queste poche parole si sintetizza la natura profondamente reazionaria e tradizionalista di Forza Nuova, che trae i suoi punti di riferimento principali in Codreanu e in Julius Evola. Ma  Evola  Codreanu furono fascisti, il primo per sua stessa ammissione il secondo per esplicita ammissione di Mussolini. Allo stesso modo il Fascismo non è si mai, e sottolineiamo MAI, definito come un partito o una ideologica cattolica tradizionalista. La posizione fascista è quella di rispetto verso tutte le religioni, di difesa e protezione verso la religione dominante di un determinato popolo. Per questo motivo al Concordato del 1929 seguì la politica filo-islamica del fascismo nelle colonie, in Libia dove Mussolini venne acclamato quale "protettore dell'islam". Dopo l'annessione all'Italia dell'Albania, con il conseguente aumento di cittadini dell'Impero di fede musulmana, Mussolini pensò addirittura alla costruzione di una moschea a Roma. Ecco come Galeazzo Ciano, nel suo diario in data 11 aprile 1939, ricorda l'episodio:


“Comunico a Pignatti la decisione del Duce di erigere una moschea a Roma, in considerazione del fatto che ormai ben 6 milioni di sudditi italiani sono musulmani. Pignatti mi riferisce, dopo aver parlato con Maglione, che in Vaticano sono costernati di questa idea, che è contraria all’articolo 1 del Concordato. Ma il Duce è deciso ed è molto spinto anche dal Re, che è sempre all’avanguardia allorché si tratta di fare una politica anticlericale” 


E dunque Mussolini, piaccia o meno ai tradizionalisti cattolici di tutte le logge, voleva una moschea nel cuore della cristianità. Allo stesso modo la posizione Fascista diverge dalle altre battaglie xenofobe e reazionarie di Forza Nuova basate sull'identità nazionalistica e sciovinista di "sangue e suolo". Per il fascismo anche un negro può divenire cittadino italiano a tutti gli effetti se sottoposto al progetto pedagogico educativo svolto dallo Stato Fascista. Infatti gli Ascari che combattevano in Africa Orientale al fianco del Regio Esercito erano considerati italiani a tutti gli effetti. Allo stesso modo la lotta contro l'immigrazione, la violenza gratuita, il razzismo, il tradizionalismo sono cose che non ci appartengono. Noi fascisti abbiamo una ideologia organica e coerente elaborata da Benito Mussolini e Giovanni Gentile, non abbiamo un miscuglio eterogeneo di posizioni prese in prestito dalle più svariate correnti della reazione europea. Il fine ultimo della nostra azione è lo Stato Etico Corporativo, di cui Forza Nuova e gli altri gruppi della destra radicale ne costituiscono l'esatta antitesi. 

giovedì 25 agosto 2011

Manifesto degli intellettuali Fascisti

Il Fascismo è un movimento recente ed antico dello spirito italiano, intimamente connesso alla storia della Nazione italiana, ma non privo di significato e interesse per tutte le altre.

Le sue origini prossime risalgono al 1919, quando intorno a Benito Mussolini si raccolse un manipolo di uomini reduci dalle trincee e risoluti a combattere energicamente la politica demosocialista allora imperante. La quale della grande guerra, da cui il popolo italiano era uscito vittorioso ma spossato, vedeva soltanto le immediate conseguenze materiali e lasciava disperdere se non lo negava apertamente il valore morale rappresentandola agli italiani da un punto di vista grettamente individualistico e utilitaristico come somma di sacrifici, di cui ognuno per parte sua doveva essere compensato in proporzione del danno sofferto, donde una presuntuosa e minacciosa contrapposizione dei privati allo Stato, un disconoscimento della sua autorità, un abbassamento del prestigio del Re e dell'Esercito, simboli della Nazione soprastanti agli individui e alle categorie particolari dei cittadini e un disfrenarsi delle passioni e degl'istinti inferiori, fomento di disgregazione sociale, di degenerazione morale, di egoistico e incosciente spirito di rivolta a ogni legge e disciplina.

L'individuo contro lo Stato; espressione tipica dell'aspetto politico della corruttela degli anni insofferenti di ogni superiore norma di vita umana che vigorosamente regga e contenga i sentimenti e i pensieri dei singoli.

Il Fascismo pertanto alle sue origini fu un movimento politico e morale. La politica sentì e propugnò come palestra di abnegazione e sacrificio dell'individuo a un'idea in cui l'individuo possa trovare la sua ragione di vita, la sua libertà e ogni suo diritto; idea che è Patria, come ideale che si viene realizzando storicamente senza mai esaurirsi, tradizione storica determinata e individuata di civiltà ma tradizione che nella coscienza del cittadino, lungi dal restare morta memoria del passato, si fa personalità consapevole di un fine da attuare, tradizione perciò e missione.

Di qui il carattere religioso del Fascismo.

Questo carattere religioso e perciò intransigente, spiega il metodo di lotta seguito dal Fascismo nei quattro anni dal '19 al '22.

I fascisti erano minoranza, nel Paese e in Parlamento, dove entrarono, piccolo nucleo, con le elezioni del 1921.

Lo Stato costituzionale era perciò, e doveva essere, antifascista, poiché era lo Stato della maggioranza, e il fascismo aveva contro di sé appunto questo Stato che si diceva liberale; ed era liberale, ma del liberalismo agnostico e abdicatorio, che non conosce se non la libertà esteriore.

Lo Stato che è liberale perché si ritiene estraneo alla coscienza del libero cittadino, quasi meccanico sistema di fronte all'attività dei singoli.

Non era perciò, evidentemente, lo Stato vagheggiato dai socialisti, quantunque i rappresentanti dell'ibrido socialismo democratizzante e parlamentaristico, si fossero, anche in Italia, venuti adattando a codesta concezione individualistica della concezione politica.

Ma non era neanche lo Stato, la cui idea aveva potentemente operato nel periodo eroico italiano del nostro Risorgimento, quando lo Stato era sorto dall'opera di ristrette minoranze, forti della forza di una idea alla quale gl'individui si erano in diversi modi piegati e si era fondato col grande programma di fare gli italiani, dopo aver dato loro l'indipendenza e l'unità.

Contro tale Stato il Fascismo si accampò anch'esso con la forza della sua idea la quale, grazie al fascino che esercita sempre ogni idea religiosa che inviti al sacrificio, attrasse intorno a sé un numero rapidamente crescente di giovani e fu il partito dei giovani (come dopo i moti del '31 da analogo bisogno politico e morale era sorta la "Giovane Italia" di Giuseppe Mazzini).

Questo partito ebbe anche il suo inno della giovinezza che venne cantato dai fascisti con gioia di cuore esultante!

E cominciò a essere, come la "Giovane Italia" mazziniana, la fede di tutti gli Italiani sdegnosi del passato e bramosi del rinnovamento.

Fede, come ogni fede che urti contro una realtà costituita da infrangere e fondere nel crogiolo delle nuove energie e riplasmare in conformità del nuovo ideale ardente e intransigente.

Era la fede stessa maturatasi nelle trincee e nel ripensamento intenso del sacrificio consumatosi nei campi di battaglia pel solo fine che potesse giustificarlo: la vita e la grandezza della Patria.

Fede energica, violenta, non disposta a nulla rispettare che opponesse alla vita, alla grandezza della Patria.

Sorse così lo squadrismo. Giovani risoluti, armati, indossanti la camicia nera, ordinati militarmente, si misero contro la legge per instaurare una nuova legge, forza armata contro lo Stato per fondare il nuovo Stato.

Lo squadrismo agì contro le forze disgregatrici antinazionali, la cui attività culminò nello sciopero generale del luglio 1922 e finalmente osò l'insurrezione del 28 ottobre 1922, quando colonne armate di fascisti, dopo avere occupato gli edifici pubblici delle province, marciarono su Roma.

La Marcia su Roma, nei giorni in cui fu compiuta e prima, ebbe i suoi morti, soprattutto nella Valle Padana. Essa, come in tutti i fatti audaci di alto contenuto morale, si compì dapprima fra la meraviglia e poi l'ammirazione e infine il plauso universale.

Onde parve che a un tratto il popolo italiano avesse ritrovato la sua unanimità entusiastica della vigilia della guerra, ma più vibrante per la coscienza della vittoria già riportata e della nuova onda di fede ristoratrice venuta a rianimare la Nazione vittoriosa sulla nuova via faticosa della urgente restaurazione della sue forze finanziarie e morali.

Codesta Patria è pure riconsacrazione delle tradizioni e degli istituti che sono la costanza della civiltà, nel flusso e nella perennità delle tradizioni.

Ed è scintilla di subordinazione di ciò che è particolare ed inferiore a ciò che è universale ed immortale, è rispetto della legge e disciplina, è libertà ma libertà da conquistare attraverso la legge, che si instaura con la rinuncia a tutto ciò che è piccolo arbitrio e velleità irragionevole e dissipatrice.

E' concezione austera della vita, è serietà religiosa, che non distingue la teoria dalla pratica, il dire dal fare, e non dipinge ideali magnifici per relegarli fuori di questo mondo, dove intanto si possa continuare a vivere vilmente e miseramente, ma è duro sforzo di idealizzare la vita ed esprimere i propri convincimenti nella stessa azione o con parole che siano esse stesse azioni.

mercoledì 24 agosto 2011

Movimento "responsabilità nazionale" copia Manifesto degli intellettuali Fascisti.


A conclusione della prima riunione degli intellettuali aderenti al Fascismo avvenuta a Bologna nel marzo 1925, fu redatto un documento attestante le volontà e le posizioni dei partecipanti.
Venne sottoscritto da duecentocinquanta personaggi di spicco nel campo della cultura, dell' arte, della scienza, della filosofia e della letteratura, tra cui possiamo ricordare Giovanni Gentile (filosofo e ideologo del Fascismo insieme a Mussolini), Ungaretti e Pirandello.

Potete leggerlo integralmente qui: manifesto degli intellettuali fascisti

Il Movimento di responsabilità nazionale invece è composto da un gruppo di politicanti transfughi dal centro-sinistra al centro-destra e accomunati solo dall' aver dato il voto di fiducia a Berlusconi permettendogli di proseguire la legislatura nel dicembre 2010, guidati dall' Onorevole Scilipoti, proposto da Gaetano Saya, rifondatore del MSI-Dn e leader del Partito Nazionalista Italiano, come segretario nazionale del rifondato partito.
Proposta poi decaduta per la volontà di Scilipoti di proseguire nel proprio movimento.

Anche loro hanno deciso di redigere un loro manifesto:

manifesto movimento di responsabilità nazionale

Quindi, cosa c'è di anomalo?

Che con molta poca fantasia, hanno ben pensato di ispirarsi al documenti del '25, ad esempio:

Manifesto intellettuali degli fascisti:

"Il Fascismo è un movimento recente ed antico dello spirito italiano, intimamente connesso alla storia della Nazione italiana, ma non privo di significato e interesse per tutte le altre"


Manifesto dei "responsabili":

"Responsabilità Nazionale è il movimento recente ed antico dello spirito italiano, internamente connesso alla storia della Nazione Italiana."

Coincidenza?

Manifesto intellettuali fascisti:

"E' concezione austera della vita, è serietà religiosa, che non distingue la teoria dalla pratica, il dire dal fare, e non dipinge ideali magnifici per relegarli fuori di questo mondo, dove intanto si possa continuare a vivere vilmente e miseramente, ma è duro sforzo di idealizzare la vita ed esprimere i propri convincimenti nella stessa azione o con parole che siano esse stesse azioni."


Manifesto dei "responsabili":

"Responsabilità è concezione austera della vita, non incline al compromesso, ma duro sforzo per esprimere i propri convincimenti facendo sì che alle parole seguano le azioni."

Dietro a questo abuso cosa si cela? La volontà di catturare le simpatie di qualche sprovveduto fintofascista o di creare ulteriore confusione tra la gente riguardo il Fascismo?
Può essere entrambe le cose, la politica non ha che da guadagnarci.


venerdì 12 agosto 2011

Dottrina del Fascismo 1933-XI E.F.


IDEE FONDAMENTALI
I

Come ogni salda concezione politica, il fascismo è prassi ed è pensiero, azione a cui è immanente una dottrina, e dottrina che, sorgendo da un dato sistema di forze storiche, vi resta inserita e vi opera dal di dentro. Ha quindi una forma correlativa alle contingenze di luogo e di tempo, ma ha insieme un contenuto ideale che la eleva a formula di verità nella storia superiore del pensiero. Non si agisce spiritualmente nel mondo come volontà umana dominatrice di volontà senza un concetto della realtà transeunte e particolare su cui bisogna agire, e della realtà permanente e universale in cui la prima ha il suo essere e la sua vita. Per conoscere gli uomini bisogna conoscere l'uomo; e per conoscere l'uomo bisogna conoscere la realtà e le sue leggi. Non c'è concetto dello stato che non sia fondamentalmente concetto della vita: filosofia o intuizione, sistema di idee che si svolge in una costruzione logica o si raccoglie in una visione o in una fede, ma è sempre, almeno virtualmente, una concezione organica del mondo.

II

Così il fascismo non si intenderebbe in molti dei suoi atteggiamenti pratici, come organizzazione di partito, come sistema di educazione, come disciplina, se non si guardasse alla luce del suo modo generale di concepire la vita. Modo spiritualistico. Il mondo per il fascismo non è questo mondo materiale che appare alla superficie, in cui l'uomo è un individuo separato da tutti gli altri e per sé stante, ed è governato da una legge naturale, che istintivamente lo trae a vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo. L'uomo del fascismo è individuo che è nazione e patria, legge morale che stringe insieme individui e generazioni in una tradizione e in una missione, che sopprime l'istinto della vita chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio: una vita in cui l’individuo, attraverso l'abnegazione di sé, il sacrifizio dei suoi interessi particolari, la stessa morte, realizza quell'esistenza tutta spirituale in cui è il suo valore di uomo.

III

Dunque concezione spiritualistica, sorta anche essa dalla generale reazione del secolo contro il fiacco e materialistico positivismo dell'Ottocento. Antipositivistica, ma positiva: non scettica, né agnostica, né pessimistica, né passivamente ottimistica, come sono in generale le dottrine (tutte negative) che pongono il centro della vita fuori dell'uomo, che con la sua libera volontà può e deve crearsi il suo mondo. Il fascismo vuole l'uomo attivo e impegnato nell'azione con tutte le sue energie: lo vuole virilmente consapevole delle difficoltà che ci sono, e pronto ad affrontarle. Concepisce la vita come lotta pensando che spetti all'uomo conquistarsi quella che sia veramente degna di lui, creando prima di tutto in sé stesso lo strumento (fisico, morale, intellettuale) per edificarla. Così per l'individuo singolo, così per la nazione, così per l'umanità. Quindi l'alto valore della cultura in tutte le sue forme - arte, religione, scienza - e l'importanza grandissima dell'educazione. Quindi anche il valore essenziale del lavoro, con cui l'uomo vince la natura e crea il mondo umano (economico, politico, morale, intellettuale).

IV

Questa concezione positiva della vita è evidentemente una concezione etica. E investe tutta la realtà, nonché l'attività umana che la signoreggia. Nessuna azione sottratta al giudizio morale; niente al mondo che si possa spogliare del valore che a tutto compete in ordine ai fini morali. La vita perciò quale la concepisce il fascista è seria, austera, religiosa: tutta librata in un mondo sorretto dalle forze morali e responsabili dello spirito. Il fascista disdegna la vita «comoda».

V

Il fascismo è una concezione religiosa, in cui l'uomo è veduto nel suo immanente rapporto con una legge superiore, con una Volontà obiettiva che trascende l'individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale. Chi nella politica religiosa del regime fascista si è fermato a considerazioni di mera opportunità, non ha inteso che il fascismo, oltre a essere un sistema di governo, è anche, e prima di tutto, un sistema di pensiero.

VI

Il fascismo è una concezione storica, nella quale l'uomo non è quello che è se non in funzione del processo spirituale a cui concorre, nel gruppo familiare e sociale, nella nazione e nella storia, a cui tutte le nazioni collaborano. Donde il gran valore della tradizione nelle memorie, nella lingua, nei costumi, nelle norme del vivere sociale. Fuori della storia 1'uomo è nulla. Perciò il fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica, tipo sec. XVIII; ed è contro tutte le utopie e le innovazioni giacobine. Esso non crede possibile la «felicità» sulla terra come fu nel desiderio della letteratura economicistica del `700, e quindi respinge tutte le concezioni teleologiche per cui a un certo periodo della storia ci sarebbe una sistemazione definitiva del genere umano. Questo significa mettersi fuori della storia e della vita che è continuo fluire e divenire. Il fascismo politicamente vuol essere una dottrina realistica; praticamente, aspira a risolvere solo i problemi che si pongono storicamente da sé e che da sé trovano o suggeriscono la propria soluzione. Per agire tra gli uomini, come nella natura, bisogna entrare nel processo della realtà e impadronirsi delle forze in atto.

VII

Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo Stato; ed è per l'individuo in quanto esso coincide con lo Stato, coscienza e volontà universale dell'uomo nella sua esistenza storica. E' contro il liberalismo classico, che sorse dal bisogno di reagire all'assolutismo e ha esaurito la sua funzione storica da quando lo Stato si è trasformato nella stessa coscienza e volontà popolare. Il liberalismo negava lo Stato nell'interesse dell'individuo particolare; il fascismo riafferma lo Stato come la realtà vera dell'individuo. E se la libertà dev'essere l'attributo dell'uomo reale, e non di quell'astratto fantoccio a cui pensava il liberalismo individualistico, il fascismo è per la libertà. E' per la sola libertà che possa essere una cosa seria, la libertà dello Stato e dell'individuo nello Stato. Giacché, per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato. In tal senso il fascismo è totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo.

VIII

Né individui fuori dello Stato, né gruppi (partiti politici, associazioni, sindacati, classi). Perciò il fascismo è contro il socialismo che irrigidisce il movimento storico nella lotta di classe e ignora l'unità statale che le classi fonde in una sola realtà economica e morale; e analogamente, è contro il sindacalismo classista. Ma nell'orbita dello Stato ordinatore, le reali esigenze da cui trasse origine il movimento socialista e sindacalista, il fascismo le vuole riconosciute e le fa valere nel sistema corporativo degli interessi conciliati nell'unità dello Stato.

IX

Gli individui sono classi secondo le categorie degli interessi; sono sindacati secondo le differenziate attività economiche cointeressate; ma sono prima di tutto e soprattutto Stato. Il quale non è numero, come somma d'individui formanti la maggioranza di un popolo. E perciò il fascismo è contro la democrazia che ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei più; ma è la forma più schietta di democrazia se il popolo è concepito, come dev'essere, qualitativamente e non quantitativamente, come l'idea più potente perché più morale, più coerente, più vera, che nel popolo si attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, e quale ideale tende ad attuarsi nella coscienza e volontà di tutti. Di tutti coloro che dalla natura e dalla storia, etnicamente, traggono ragione di formare una nazione, avviati sopra la stessa linea di sviluppo e formazione spirituale, come una coscienza e una volontà sola. Non razza, nè regione geograficamente individuata, ma schiatta storicamente perpetuantesi, moltitudine unificata da un'idea, che è volontà di esistenza e di potenza: coscienza di sé, personalità.

X

Questa personalità superiore è bensì nazione in quanto è Stato. Non è la nazione a generare lo Stato, secondo il vieto concetto naturalistico che servì di base alla pubblicistica degli Stati nazionali nel secolo XIX. Anzi la nazione è creata dallo Stato, che dà al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà, e quindi un'effettiva esistenza. Il diritto di una nazione all'indipendenza deriva non da una letteraria e ideale coscienza del proprio essere, e tanto meno da una situazione di fatto più o meno inconsapevole e inerte, ma da una coscienza attiva, da una volontà politica in atto e disposta a dimostrare il proprio diritto: cioè, da una sorta di Stato già in fieri. Lo Stato infatti, come volontà etica universale, è creatore del diritto.

XI

La nazione come Stato è una realtà etica che esiste e vive in quanto si sviluppa. Il suo arresto è la sua morte. Perciò lo Stato non solo è autorità che governa e dà forma di legge e valore di vita spirituale alle volontà individuali, ma è anche potenza che fa valere la sua volontà all'esterno, facendola riconoscere e rispettare, ossia dimostrandone col fatto l'universalità in tutte le determinazioni necessarie del suo svolgimento. E perciò organizzazione ed espansione, almeno virtuale. Cosi può adeguarsi alla natura dell'umana volontà, che nel suo sviluppo non conosce barriere, e che si realizza provando la propria infinità.

XII

Lo Stato fascista, forma più alta e potente della personalità, è forza, ma spirituale. La quale riassume tutte le forme della vita morale e intellettuale dell'uomo. Non si può quindi limitare a semplici funzioni di ordine e tutela, come voleva il liberalismo. Non è un semplice meccanismo che limiti la sfera delle presunte libertà individuali. È forma e norma interiore, e disciplina di tutta la persona; penetra la volontà come l'intelligenza. Il suo principio, ispirazione centrale dell'umana personalità vivente nella comunità civile, scende nel profondo e si annida nel cuore dell'uomo d'azione come del pensatore, dell'artista come dello scienziato: anima dell'anima.

XIII

Il fascismo insomma non è soltanto datore di leggi e fondatore d'istituti, ma educatore e promotore di vita spirituale. Vuoi rifare non le forme della vita umana, ma il contenuto, l'uomo, il carattere, la fede. E a questo fine vuole disciplina, e autorità che scenda addentro negli spiriti, e vi domini incontrastata. La sua insegna perciò è il fascio littorio, simbolo dell'unità, della forza e della giustizia.


DOTTRINA POLITICA E SOCIALE

I

Quando, nell'ormai lontano marzo del 1919, dalle colonne del Popolo d’Italia io convocai a Milano i superstiti interventisti-intervenuti, che mi avevano seguito sin dalla costituzione dei Fasci d'azione rivoluzionaria - avvenuta nel gennaio del 1915 -, non c'era nessuno specifico piano dottrinale nel mio spirito. Di una sola dottrina io recavo l'esperienza vissuta: quella del socialismo dal 1903-04 sino all'inverno del 1914: circa un decennio. Esperienza di gregario e di capo, ma non esperienza dottrinale. La mia dottrina, anche in quel periodo, era stata la dottrina dell'azione. Una dottrina univoca, universalmente accettata, del socialismo non esisteva più sin dal 1905, quando cominciò in Germania il movimento revisionista facente capo al Bernstein e per contro si formò, nell'altalena delle tendenze, un movimento di sinistra rivoluzionario, che in Italia non uscì mai dal campo delle frasi, mentre, nel socialismo russo, fu il preludio del bolscevismo. Riformismo, rivoluzionarismo, centrismo, di questa terminologia anche gli echi sono spenti, mentre nel grande fiume del fascismo troverete i filoni che si dipartirono dal Sorel, dal Lagardelle del Mouvement Socialiste, dal Péguy, e dalla coorte dei sindacalisti italiani, che tra il 1904 e il 1914 portarono una nota di novità nell'ambiente socialistico italiano, già svirilizzato e cloroformizzato dalla fornicazione giolittiana, con le Pagine libere di Olivetti, La Lupa di Orano, il Divenire sociale di Enrico Leone. Nel 1919, finita la guerra, il socialismo era già morto come dottrina: esisteva solo come rancore, aveva ancora una sola possibilità, specialmente in Italia, la rappresaglia contro coloro che avevano voluto la guerra e che dovevano «espiarla». Il Popolo d’Italia recava nel sottotitolo «quotidiano dei combattenti e dei produttori». La parola «produttori» era già l'espressione di un indirizzo mentale. Il fascismo non fu tenuto a balia da una dottrina elaborata in precedenza, a tavolino: nacque da un bisogno di azione e fu azione; non fu partito, ma, nei primi due anni, antipartito e movimento. Il nome che io diedi all'organizzazione, ne fissava i caratteri. Eppure chi rilegga, nei fogli oramai gualciti dell'epoca, il resoconto dell'adunata costitutiva dei Fasci italiani di combattimento, non troverà una dottrina, ma una serie di spunti, di anticipazioni, di accenni, che, liberati dall'inevitabile ganga delle contingenze, dovevano poi, dopo alcuni anni, svilupparsi in una serie di posizioni dottrinali, che facevano del fascismo una dottrina politica a sé stante, in confronto di tutte le altre e passate e contemporanee.«Se la borghesia, dicevo allora, crede di trovare in noi dei parafulmini si inganna. Noi dobbiamo andare incontro al lavoro... Vogliamo abituare le classi operaie alla capacità direttiva, anche per convincerle che non è facile mandare avanti una industria o un commercio... Combatteremo il retroguardismo tecnico e spirituale... Aperta la successione del regime noi non dobbiamo essere degli imbelli. Dobbiamo correre; se il regime sarà superato saremo noi che dovremo occupare il suo posto. Il diritto di successione ci viene perché spingemmo il paese alla guerra e lo conducemmo alla vittoria. L'attuale rappresentanza politica non ci può bastare, vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli interessi... Si potrebbe dire contro questo programma che si ritorna alle corporazioni. Non importa!... Vorrei perciò che l'assemblea accettasse le rivendicazioni del sindacalismo nazionale dal punto di vista economico»... Non è singolare che sin dalla prima giornata di Piazza San Sepolcro risuoni la parola «corporazione» che doveva, nel corso della Rivoluzione, significare una delle creazioni legislative e sociali alla base del regime?

II

Gli anni che precedettero la marcia su Roma, furono anni durante i quali le necessità dell'azione non tollerarono indagini o complete elaborazioni dottrinali. Si battagliava nelle città e nei villaggi. Si discuteva, ma - quel ch'è più sacro e importante - si moriva. Si sapeva morire. La dottrina - bell'e formata, con divisione di capitoli e paragrafi e contorno di elucubrazioni - poteva mancare; ma c'era a sostituirla qualche cosa di più decisivo: la fede. Purtuttavia, a chi rimemori sulla scorta dei libri, degli articoli, dei voti dei congressi, dei discorsi maggiori e minori, chi sappia indagare e scegliere, troverà che i fondamenti della dottrina furono gettati mentre infuriava la battaglia. È precisamente in quegli anni, che anche il pensiero fascista si arma, si raffina, procede verso una sua organizzazione. I problemi dell'individuo e dello Stato; i problemi dell'autorità e della libertà; i problemi politici e sociali e quelli più specificatamente nazionali; la lotta contro le dottrine liberali, democratiche, socialistiche, massoniche, popolaresche fu condotta contemporaneamente alle «spedizioni punitive». Ma poiché mancò il «sistema» si negò dagli avversarii in malafede al fascismo ogni capacità di dottrina, mentre la dottrina veniva sorgendo, sia pure tumultuosamente dapprima sotto l'aspetto di una negazione violenta e dogmatica come accade di tutte le idee che esordiscono, poi sotto l’aspetto positivo di una costruzione che trovava, successivamente negli anni 1926, `27 e `28, la sua realizzazione nelle leggi e negli istituti del regime. Il fascismo è oggi nettamente individuato non solo come regime ma come dottrina. Questa parola va interpretata nel senso che oggi il fascismo esercitando la sua critica su se stesso e sugli altri, ha un suo proprio inconfondibile punto di vista, di riferimento - e quindi di direzione - dinnanzi a tutti i problemi che angustiano, nelle cose o nelle intelligenze, i popoli del mondo.

III

Anzitutto il fascismo, per quanto riguarda, in generale, l'avvenire e lo sviluppo dell'umanità, e a parte ogni considerazione di politica attuale, non crede alla possibilità né all'utilità della pace perpetua. Respinge quindi il pacifismo che nasconde una rinuncia alla lotta e una viltà - di fronte al sacrificio. Solo la guerra porta al massimo di tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtù di affrontarla. Tutte le altre prove sono dei sostituti, che non pongono mai l'uomo di fronte a se stesso, nell'alternativa della vita e della morte. Una dottrina, quindi, che parta dal postulato pregiudiziale della pace, è estranea al fascismo cosi come estranee allo spirito del fascismo, anche se accettate per quel tanto di utilità che possano avere in determinate situazioni politiche, sono tutte le costruzioni internazionalistiche e societarie, le quali, come la storia dimostra, si possono disperdere al vento quando elementi sentimentali, ideali e pratici muovono a tempesta il cuore dei popoli. Questo spirito anti-pacifista, il fascismo lo trasporta anche nella vita degli individui. L'orgoglioso motto squadrista «me ne frego», scritto sulle bende di una ferita, è un atto di filosofia non soltanto stoica, è il sunto di una dottrina non soltanto politica: è l'educazione al combattimento, l'accettazione dei rischi che esso comporta; è un nuovo stile di vita italiano. Così il fascista accetta, ama la vita, ignora e ritiene vile il suicidio; comprende la vita come dovere, elevazione, conquista: la vita che deve essere alta e piena: vissuta per se, ma soprattutto per gli altri, vicini e lontani, presenti e futuri.

IV

La politica «demografica» del regime è la conseguenza di queste premesse. Anche il fascista ama infatti il suo prossimo, ma questo «prossimo» non è per lui un concetto vago e inafferrabile: l'amore per il prossimo non impedisce le necessarie educatrici severità, e ancora meno le differenziazioni e le distanze. Il fascismo respinge gli abbracciamenti universali e, pur vivendo nella comunità dei popoli civili, li guarda vigilante e diffidente negli occhi, li segue nei loro stati d'animo e nella trasformazione dei loro interessi né si lascia ingannare da apparenze mutevoli e fallaci.

V

Una siffatta concezione della vita porta il fascismo a essere la negazione recisa di quella dottrina che costituì la base del socialismo cosiddetto scientifico o marxiano: la dottrina del materialismo storico secondo il quale la storia delle civiltà umane si spiegherebbe soltanto con la lotta d'interessi fra i diversi gruppi sociali e col cambiamento dei mezzi e strumenti di produzione. Che le vicende dell'economia - scoperte di materie prime, nuovi metodi di lavoro, invenzioni scientifiche - abbiano una loro importanza, nessuno nega; ma che esse bastino a spiegare la storia umana escludendone tutti gli altri fattori, è assurdo: il fascismo crede ancora e sempre nella santità e nell'eroismo, cioè in atti nei quali nessun motivo economico - lontano o vicino - agisce. Negato il materialismo storico, per cui gli uomini non sarebbero che comparse della storia, che appaiono e scompaiono alla superficie dei flutti, mentre nel profondo si agitano e lavorano le vere forze direttrici, è negata anche la lotta di classe, immutabile e irreparabile, che di questa concezione economicistica della storia è la naturale figliazione, e soprattutto è negato che la lotta di classe sia l'agente preponderante delle trasformazioni sociali. Colpito il socialismo in questi due capisaldi della sua dottrina, di esso non resta allora che l'aspirazione sentimentale - antica come l'umanità - a una convivenza sociale nella quale siano alleviate le sofferenze e i dolori della più umile gente. Ma qui il fascismo respinge il concetto di «felicità» economica, che si realizzerebbe socialisticamente e quasi automaticamente a un dato momento dell'evoluzione dell'economia, con l'assicurare a tutti il massimo di benessere. Il fascismo nega il concetto materialistico di «felicità» come possibile e lo abbandona agli economisti della prima metà del `700; nega cioè l'equazione benessere=felicità che convertirebbe gli uomini in animali di una cosa sola pensosi: quella di essere pasciuti e ingrassati, ridotti, quindi, alla pura e semplice vita vegetativa.

VI

Dopo il socialismo, il fascismo batte in breccia tutto il complesso delle ideologie democratiche e le respinge, sia nelle loro premesse teoriche, sia nelle loro applicazioni o strumentazioni pratiche. Il fascismo nega che il numero, per il semplice fatto di essere numero, possa dirigere le società umane; nega che questo numero possa governare attraverso una consultazione periodica; afferma la disuguaglianza irrimediabile e feconda e benefica degli uomini che non si possono livellare attraverso un fatto meccanico ed estrinseco com'è il suffragio universale. Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l'illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete. La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno. Questo spiega perché il fascismo, pur avendo prima del 1922 - per ragioni di contingenza - assunto un atteggiamento di tendenzialità repubblicana, vi rinunciò prima della marcia su Roma, convinto che la questione delle forme politiche di uno Stato non è, oggi, preminente e che studiando nel campionario delle monarchie passate e presenti, delle repubbliche passate e presenti, risulta che monarchia e repubblica non sono da giudicare sotto la specie dell'eternità, ma rappresentano forme nelle quali si estrinseca l'evoluzione politica, la storia, la tradizione, la psicologia di un determinato paese. Ora il fascismo supera l'antitesi monarchia-repubblica sulla quale si attardò il democraticismo, caricando la prima di tutte le insufficienze, e apologizzando l'ultima come regime di perfezione. Ora s’è visto che ci sono repubbliche intimamente reazionarie o assolutistiche, e monarchie che accolgono le più ardite esperienze politiche e sociali.

VII

«La ragione, la scienza - diceva Renan, che ebbe delle illuminazioni prefasciste, in una delle sue Meditazioni filosofiche - sono dei prodotti dell'umanità, ma volere la ragione direttamente per il popolo e attraverso il popolo è una chimera. Non è necessario per l'esistenza della ragione che tutto il mondo la conosca. In ogni caso se tale iniziazione dovesse farsi non si farebbe attraverso la bassa democrazia, che sembra dover condurre all'estinzione di ogni cultura difficile, e di ogni più alta disciplina. Il principio che la società esiste solo per il benessere e la libertà degli individui che la compongono non sembra essere conforme ai piani della natura, piani nei quali la specie sola è presa in considerazione e l'individuo sembra sacrificato. E’ da fortemente temere che l'ultima parola della democrazia così intesa (mi affretto a dire che si può intendere anche diversamente) non sia uno stato sociale nel quale una massa degenerata non avrebbe altra preoccupazione che godere i piaceri ignobili dell'uomo volgare». Fin qui Renan. Il fascismo respinge nella democrazia l'assurda menzogna convenzionale dell'egualitarismo politico e l'abito dell'irresponsabilità collettiva e il mito della felicità e del progresso indefinito. Ma, se la democrazia può essere diversamente intesa, cioè se democrazia significa non respingere il popolo ai margini dello Stato, il fascismo poté da chi scrive essere definito una «democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria».

VIII

Di fronte alle dottrine liberali, il fascismo e in atteggiamento di assoluta opposizione, e nel campo della politica e in quello dell'economia. Non bisogna esagerare - a scopi semplicemente di polemica attuale - l'importanza del liberalismo nel secolo scorso, e fare di quella che fu una delle numerose dottrine sbocciate in quel secolo, una religione dell'umanità per tutti i tempi presenti e futuri. Il liberalismo non fiorì che per un quindicennio. Nacque nel 1830 come reazione alla Santa Alleanza che voleva respingere l'Europa al pre-'89, ed ebbe il suo anno di splendore nel 1848 quando anche Pio IX fu liberale. Subito dopo cominciò la decadenza. Se il `48 fu un anno di luce e di poesia, il `49 fu un anno di tenebre e di tragedia. La repubblica di Roma fu uccisa da un'altra repubblica, quella di Francia. Nello stesso anno, Marx lanciava il vangelo della religione del socialismo, col famoso Manifesto dei comunisti. Nel 1851 Napoleone III fa il suo illiberale colpo di Stato e regna sulla Francia fino al 1870, quando fu rovesciato da un moto di popolo, ma in seguito a una disfatta militare fra le più grandi che conti la storia. Il vittorioso è Bismarck, il quale non seppe mai dove stesse di casa la religione della libertà e di quali profeti si servisse. E’ sintomatico che un popolo di alta civiltà, come il popolo tedesco, abbia ignorato in pieno, per tutto il sec. XIX, la religione della libertà. Non c'è che una parentesi. Rappresentata da quello che è stato chiamato il «ridicolo parlamento di Francoforte», che durò una stagione. La Germania ha raggiunto la sua unità nazionale al di fuori del liberalismo, contro il liberalismo, dottrina che sembra estranea all'anima tedesca, anima essenzialmente monarchica, mentre il liberalismo è l'anticamera storica e logica dell'anarchia. Le tappe dell'unità tedesca sono le tre guerre del `64, `66, `70, guidate da «liberali» come Moltke e Bismarck. Quanto all'unità italiana, il liberalismo vi ha avuto una parte assolutamente inferiore all'apporto dato da Mazzini e da Garibaldi che liberali non furono. Senza l'intervento dell'illiberale Napoleone, non avremmo avuto la Lombardia, e senza l'aiuto dell'illiberale Bismarck a Sadowa e a Sedan, molto probabilmente non avremmo avuto, nel `66, la Venezia; e nel 1870 non saremmo entrati a Roma. Dal 1870 al 1915, corre il periodo nel quale gli stessi sacerdoti del nuovo credo accusano il crepuscolo della loro religione: battuta in breccia dal decadentismo nella letteratura, dall'attivismo nella pratica. Attivismo: cioè nazionalismo, futurismo, fascismo. Il secolo «liberale» dopo aver accumulato un'infinità di nodi gordiani, cerca di scioglierli con l'ecatombe della guerra mondiale. Mai nessuna religione impose così immane sacrificio. Gli dei del liberalismo avevano sete di sangue? Ora il liberalismo sta per chiudere le porte dei suoi templi deserti perché i popoli sentono che il suo agnosticismo nell'economia, il suo indifferentismo nella politica e nella morale condurrebbe, come ha condotto, a sicura rovina gli Stati. Si spiega con ciò che tutte le esperienze politiche del mondo contemporaneo sono antiliberali ed è supremamente ridicolo volerle perciò classificare fuori della storia; come se la storia fosse una bandita di caccia riservata al liberalismo e ai suoi professori, come se il liberalismo fosse la parola definitiva e non più superabile della civiltà.

IX

Le negazioni fasciste del socialismo, della democrazia, del liberalismo, non devono tuttavia far credere che il fascismo voglia respingere il mondo a quello che esso era prima di quel 1789, che viene indicato come l'anno di apertura del secolo demo-liberale. Non si torna indietro. La dottrina fascista non ha eletto a suo profeta De Maistre. L'assolutismo monarchico fu, e così pure ogni ecclesiolatria. Cosi «furono» i privilegi feudali e la divisione in caste impenetrabili e non comunicabili fra di loro. Il concetto di autorità fascista non ha niente a che vedere con lo stato di polizia. Un partito che governa totalitariamente una nazione, è un fatto nuovo nella storia. Non sono possibili riferimenti e confronti. Il fascismo dalle macerie delle dottrine liberali, socialistiche, democratiche, trae quegli elementi che hanno ancora un valore di vita. Mantiene quelli che si potrebbero dire i fatti acquisiti della storia, respinge tutto il resto, cioè il concetto di una dottrina buona per tutti i tempi e per tutti i popoli. Ammesso che il sec. XIX sia stato il secolo del socialismo, del liberalismo, della democrazia, non è detto che anche il sec. XX debba essere il secolo del socialismo, del liberalismo, della democrazia. Le dottrine politiche passano, i popoli restano. Si può pensare che questo sia il secolo dell'autorità, un secolo di «destra», un secolo fascista; se il XIX fu il secolo dell'individuo (liberalismo significa individualismo), si può pensare che questo sia il secolo «collettivo» e quindi il secolo dello Stato. Che una nuova dottrina possa utilizzare gli elementi ancora vitali di altre dottrine è perfettamente logico. Nessuna dottrina nacque tutta nuova, lucente, mai vista. Nessuna dottrina può vantare una «originalità» assoluta. Essa è legata, non fosse che storicamente, alle altre dottrine che furono, alle altre dottrine che saranno. Così il socialismo scientifico di Marx è legato al socialismo utopistico dei Fourier, degli Owen, dei Saint-Simon; cosi il liberalismo dell'800 si riattacca a tutto il movimento illuministico del `700. Così le dottrine democratiche sono legate all'Enciclopedia. Ogni dottrina tende a indirizzare l'attività degli uomini verso un determinato obiettivo; ma l'attività degli uomini reagisce sulla dottrina, la trasforma, l'adatta alle nuove necessità o la supera. La dottrina, quindi dev'essere essa stessa non un'esercitazione di parole, ma un atto di vita. In ciò le venature pragmatistiche del fascismo, la sua volontà di potenza, il suo volere essere, la sua posizione di fronte al fatto «violenza» e al suo valore.

X

Caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello Stato, della sua essenza, dei suoi compiti, delle sue finalità. Per il fascismo lo Stato è un assoluto, davanti al quale individui e gruppi sono il relativo. Individui e gruppi sono «pensabili» in quanto siano nello Stato. Lo Stato liberale non dirige il giuoco e lo sviluppo materiale e spirituale delle collettività, ma si limita a registrare i risultati; lo Stato fascista ha una sua consapevolezza, una sua volontà, per questo si chiama uno Stato «etico». Nel 1929 alla prima assemblea quinquennale del regime io dicevo: «Per il fascismo lo Stato non è il guardiano notturno che si occupa soltanto della sicurezza personale dei cittadini; non è nemmeno una organizzazione a fini puramente materiali, come quello di garantire un certo benessere e una relativa pacifica convivenza sociale, nel qual caso a realizzarlo basterebbe un consiglio di amministrazione; non è nemmeno una creazione di politica pura, senza aderenze con la realtà materiale e complessa della vita dei singoli e di quella dei popoli. Lo Stato così come il fascismo lo concepisce e attua è un fatto spirituale e morale, poiché concreta l'organizzazione politica, giuridica, economica della nazione, e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, una manifestazione dello spirito. Lo Stato è garante della sicurezza interna ed esterna, ma è anche il custode e il trasmettitore dello spirito del popolo così come fu nei secoli elaborato nella lingua, nel costume, nella fede. Lo Stato non è soltanto presente, ma è anche passato e soprattutto futuro. E' lo Stato che trascendendo il limite breve delle vite individuali rappresenta la coscienza immanente della nazione. Le forme in cui gli Stati si esprimono, mutano, ma la necessità rimane. E' lo Stato che educa i cittadini alla virtù civile, li rende consapevoli della loro missione, li sollecita all'unità; armonizza i loro interessi nella giustizia; tramanda le conquiste del pensiero nelle scienze, nelle arti, nel diritto, nell'umana solidarietà; porta gli uomini dalla vita elementare della tribù alla più alta espressione umana di potenza che è l'impero; affida ai secoli i nomi di coloro che morirono per la sua integrità o per obbedire alle sue leggi; addita come esempio e raccomanda alle generazioni che verranno, i capitani che lo accrebbero di territorio e i genii che lo illuminarono di gloria. Quando declina il senso dello Stato e prevalgono le tendenze dissociatrici e centrifughe degli individui o dei gruppi, le società nazionali volgono al tramonto».

XI

Dal 1929 a oggi, l'evoluzione economica politica universale ha ancora rafforzato queste posizioni dottrinali. Chi giganteggia è lo Stato. Chi può risolvere le drammatiche contraddizioni del capitalismo è lo Stato. Quella che si chiama crisi, non si può risolvere se non dallo Stato, entro lo Stato. Dove sono le ombre dei Jules Simon, che agli albori del liberalismo proclamavano che «lo Stato deve lavorare a rendersi inutile e a preparare le sue dimissioni»? Dei Mac Culloch, che nella seconda metà del secolo scorso affermavano che lo Stato deve astenersi dal troppo governare? E che cosa direbbe mai dinnanzi ai continui, sollecitati, inevitabili interventi dello Stato nelle vicende economiche, l'inglese Bentham, secondo il quale l'industria avrebbe dovuto chiedere allo Stato soltanto di essere lasciata in pace, o il tedesco Humboldt, secondo il quale lo Stato «ozioso» doveva essere considerato il migliore? Vero è che la seconda ondata degli economisti liberali fa meno estremista della prima e già lo stesso Smith apriva - sia pure cautamente - la porta agli interventi dello Stato nell'economia. Se chi dice liberalismo dice individuo, chi dice fascismo dice Stato. Ma lo Stato fascista è unico ed è una creazione originale. Non è reazionario, ma rivoluzionario, in quanto anticipa le soluzioni di determinati problemi universali quali sono posti altrove nel campo politico dal frazionamento dei partiti, dal prepotere del parlamentarismo, dall'irresponsabilità delle assemblee, nel campo economico dalle funzioni sindacali sempre più numerose e potenti sia nel settore operaio come in quello industriale, dai loro conflitti e dalle loro intese; nel campo morale dalla necessità dell'ordine, della disciplina, dell'obbedienza a quelli che sono i dettami morali della patria. Il fascismo vuole lo Stato forte, organico e al tempo stesso poggiato su una larga base popolare. Lo Stato fascista ha rivendicato a sé anche il campo dell'economia e, attraverso le istituzioni corporative, sociali, educative da lui create, il senso dello Stato arriva sino alle estreme propaggini, e nello Stato circolano, inquadrate nelle rispettive organizzazioni, tutte le forze politiche, economiche, spirituali della nazione. Uno Stato che poggia su milioni d'individui che lo riconoscono, lo sentono, sono pronti a servirlo, non è lo Stato tirannico del signore medievale. Non ha niente di comune con gli Stati assolutistici di prima o dopo l'89. L'individuo nello Stato fascista non è annullato, ma piuttosto moltiplicato, cosi come in un reggimento un soldato non è diminuito, ma moltiplicato per il numero dei suoi camerati. Lo Stato fascista organizza la nazione, ma lascia poi agli individui margini sufficienti; esso ha limitato le libertà inutili o nocive e ha conservato quelle essenziali. Chi giudica su questo terreno non può essere l'individuo, ma soltanto lo Stato.

XII

Lo Stato fascista non rimane indifferente di fronte al fatto religioso in genere e a quella particolare religione positiva che è il cattolicismo italiano. Lo Stato non ha una teologia, ma ha una morale. Nello Stato fascista la religione viene considerata come una delle manifestazioni più profonde dello spirito; non viene, quindi, soltanto rispettata, ma difesa e protetta. Lo Stato fascista non crea un suo «Dio» così come volle fare a un certo momento, nei delirii estremi della Convenzione, Robespierre; né cerca vanamente di cancellarlo dagli animi come fa il bolscevismo; il fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi e anche il Dio cosi come visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo del popolo.

XIII

Lo Stato fascista è una volontà di potenza e d'imperio. La tradizione romana è qui un'idea di forza. Nella dottrina del fascismo l'impero non è soltanto un'espressione territoriale o militare o mercantile, ma spirituale o morale. Si può pensare a un impero, cioè a una nazione che direttamente o indirettamente guida altre nazioni, senza bisogno di conquistare un solo chilometro quadrato di territorio. Per il fascismo la tendenza all'impero, cioè all'espansione delle nazioni, è una manifestazione di vitalità; il suo contrario, o il piede di casa, è un segno di decadenza: popoli che sorgono o risorgono sono imperialisti, popoli che muoiono sono rinunciatarii. Il fascismo è la dottrina più adeguata a rappresentare le tendenze, gli stati d'animo di un popolo come l'italiano che risorge dopo molti secoli di abbandono o di servitù straniera. Ma l'impero chiede disciplina coordinazione degli sforzi, dovere e sacrificio; questo spiega molti aspetti dell'azione pratica del regime e l'indirizzo di molte forze dello Stato e la severità necessaria contro coloro che vorrebbero opporsi a questo moto spontaneo e fatale dell’Italia nel secolo XX, e opporsi agitando le ideologie superate del secolo XIX, ripudiate dovunque si siano osati grandi esperimenti di trasformazioni politiche e sociali: non mai come in questo momento i popoli hanno avuto sete di autorità, di direttive, di ordine. Se ogni secolo ha una sua dottrina, da mille indizii appare che quella del secolo attuale è il fascismo. Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il fascismo ha avuto i suoi caduti e i suoi martiri. Il fascismo ha oramai nel mondo l'universalità di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia dello spirito umano.

Mussolini si confessa alle stelle.


Da parti di questo documento è ricavato il famoso "testamento politico" di Benito Mussolini, di incerta provenienza e probabilmente falso e strumentale.
Riguardo a quanto segue, la veridicità è certa.

Durante un'udienza alla villa delle Orsoline, il giornalista Ivanoe Fossani si era sentito chiedere da Mussolini dove fosse esattamente l'isola di Trimellone, e gliela aveva mostrata sul Garda, verso la riva opposta a Gargnano. «Se un giorno - aveva poi detto Mussolini - ti mandassi a dire di volerti vedere, senz'altra indicazione, resta inteso che l'appuntamento è nell'isola Trimellone, alle ventuno. Vieni solo, assolutamente solo ». Il 20 marzo 1945, a mezzo dell'amico Ottavio Dinale, Fossani riceve l'avviso, e prima dell'ora stabilita si trova nell'isola, dominata dai resti di un vecchio forte. Mette alla catena un feroce cane lupo di guardia, prima che l'ospite atteso giunga attraverso il lago agitato, su un motoscafo che subito si allontana. Saltato agilmente sulla riva, Mussolini, senza dire parola, si mette a percorrere la piccola isola insieme al giornalista, sotto un nitido cielo stellato, chiuso dal monte Baldo verso Verona e dal monte Gu verso Brescia. Poiché il cane abbaia furiosamente, Mussolini gli va vicino, gli prende con la destra la mascella inferiore, con la sinistra lo accarezza fissandolo negli occhi ed esortandolo a chetarsi. Benché famoso per le sue precedenti aggressioni, il cane tace e, agitando festosamente la coda, si drizza contro l'uomo sulle gambe posteriori, e si accuccia silenzioso quando è respinto. Solo allora Mussolini comincia un soliloquio di sfogo alla fonda amarezza dell'animo suo, senza mai fare interloquire Fossani, che, durante l'incontro, dice soltanto il nome del cane: Tell. « Avevo intuito fin dall'inizio - avverte il giornalista - che il suono di un'altra parola avrebbe rotto l'incanto di un grande uomo sventurato, che aveva deciso di confessarsi alle stelle ». Il soliloquio, in cui Mussolini passa senza un ordine apparente da un argomento all'altro, è qui riportato.
(Da: IVANOE FOSSANI- Mussolini si confessa alle stelle - Casa Editrice « Latinità », Roma, 1952).



SOLILOQUIO IN « LIBERTA » ALL'ISOLA TRIMELLONE

- Ah ! Ero stufo, sono stufo, sarò stufo della continua sorveglianza. Sono anni che ad ogni passo trovo una faccia che mi spia.
Con la scusa della protezione sono costretto a fare sapere ad altri quello che faccio. Le noie del potere sono due: dover trattare con ogni sorta di imbecilli ed essere controllato anche nelle cose intime. Lo fanno per tuo bene, dicono, ma intanto ti strappano a te stesso. E' una prigione dorata. I secondini si inchinano al tuo passaggio, ma ti tengono in loro possesso. Hitler si è assunto l'incarico di farmi da scudo contro i «traditori» italiani, ma intanto i miei gesti e le mie parole gli sono riferiti giorno per giorno. Anche quando ricevo, i tedeschi mi ascoltano. Lo so di sicuro. La protezione è un aspetto legale dello spionaggio. Qui è bello. Quest'isola è meravigliosa. Mi dilato alla libertà. Ne avevo estremamente bisogno. Dopo di aver parlato a folle oceaniche è supremamente bello parlare a nessuno. Ma forse mi sbaglio. Può darsi che parli al Tutto di tutti, se si degnasse ascoltarmi. Se fosse estate mi leverei la giacca e mi rotolerei nell'erba con la gioia selvaggia dei bambini. Il misterioso potere della terra è enorme. Gli amori dei contadini sono i più vigorosi e naturali perché hanno per letto la terra e per eccitanti il profumo delle messi. Beati quelli che dormono nei solchi ! Questa notte ritorno ad essere interamente me stesso dopo un lungo e pericoloso cammino, percorso con persone che le coincidenze, non la mia preferenza, hanno posto sulla mia strada. Quella è Sirio, così bella e splendente di felicità perché è sola. In compagnia si crede di far meglio, invece si fa peggio, perché ognuno o con la ribellione o con la sottomissione cerca di imporre la propria esperienza. L'esperienza è una delle tante menzogne convenzionali. Essa non serve a niente perché ogni atto della vita è un fatto nuovo, che va risolto con l'intuizione. L'esperienza è storia e la storia è uno straordinario racconto, ma non una morale. Infatti da secoli e secoli l'umanità ripete gli stessi errori e li sconta col sangue. Mio padre, nonostante fosse un fabbro ferraio, diceva... No. Mi interessano i filosofi per la sottigliezza della loro dialettica, ma preferisco i poeti quando non si chiamano Metastasio. I filosofi parlano di ieri; i poeti parlano di domani. Non ho mai amato i cani perché ritengo che il coraggio e la fierezza del gatto siano più conformi alla dignità umana, eppure quel « Tell » mi fa pensare questa sera che anche la fedeltà dei cani è una grande virtù. Un popolo che fosse altrettanto fedele in una o due circostanze della sua storia occuperebbe nel mondo un posto di primissimo piano.
I geni dovrebbero nascere con una stella in fronte, in modo da essere riconosciuti subito, ed i popoli dovrebbero seguirli con la stessa fedeltà del cane. Solo. La solitudine misura la grandezza morale ed intellettuale di un uomo. Io non ho mai potuto misurarmi perché mi sono messo in cammino col mio popolo, che sognavo di condurre dove penso abbia diritto di andare. Hanno detto che mi paragono a Cesare e a Napoleone. È un errore. So che sono le circostanze che cercano i loro uomini, non gli uomini le circostanze. Nessun uomo può essere più grande della sua epoca. Io non ho creato il fascismo: l'ho tratto dall'inconscio degli italiani. Se non fosse stato così, non mi avrebbero seguito tutti per vent'anni, dico tutti, perché una esigua minoranza addirittura microscopica non può aver alcun peso. I gesti, i riti e le divise introdotti nella vita della nazione mi vennero imputati come una personale mania di grandezza. Personalmente mi avrebbero lasciato indifferente se non fossi stato sicuro di compiacere al senso pittoresco degli italiani. Chi guida un popolo ha il dovere di non trascurare nulla di.quanto risveglia l'immaginazione, suscita entusiasmo, rinnova anche esteriormente i vecchi schemi della vita. La camicia nera ha infiammato la gioventù e successivamente la divisa ha ringiovanito anche i più pesanti e insonnoliti burocrati. Per avere un distintivo piuttosto che un altro, intere categorie si sono battute con furore. La politica è un'arte difficilissima tra le difficili perché lavora la materia più inafferrabile, più oscillante, più incerta. La politica lavora sullo spirito degli uomini, che è una entità assai difficile a definirsi, perché è mutevole. Mutevolissimo è lo spirito degli italiani. Quando io non sarò più, sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent'anni un popolo come l'italiano. Se non avessi fatto altro basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell'oblio. Altri forse potrà dominare col ferro e col fuoco, non col consenso come ho fatto io. La mia dittatura è stata assai più lieve che non certe democrazie in cui imperano le plutocrazie. Il fascismo ha avuto più morti dei suoi avversari e il 25 luglio al confino non c'erano più di trenta persone. Io non ho soppresso nessuna libertà, tranne la licenza, che turba, corrompe e intacca il sistema nervoso della società. Io ho fatto un popolo, un vero popolo, in cui quel poco che c'era veniva ripartito umanamente. Con il fascismo i lavoratori hanno ottenuto le otto ore, alti salari, continuità di lavoro, provvidenze assistenziali, ferie annuali, gite dopolavoristiche, magistrature apposite, mentre i suoi figli più delicati venivano inviati nelle colonie montane o marine. Quando si scrive che noi siamo la guardia bianca della borghesia, si afferma la più spudorata delle menzogne. Io ho difeso, e lo affermo con piena coscienza, il progresso dei lavoratori più di quanto non fosse consentito dalla non lieta situazione del capitale italiano, che non è, non bisogna mai dimenticarlo, né quello americano né quello inglese.
Tra le cause principali del tracollo del fascismo io pongo la lotta sorda e implacabile di taluni gruppi industriali e finanziari, che nel loro folle egoismo temevano ed odiano il fascismo come il peggior nemico dei loro inumani interessi. E furono gli altri gruppi consimili sparsi per il mondo ad inscenare un'oscena gazzarra e a premer con tutti i loro mezzi sui rispettivi Governi il giorno in cui, stanco di vedere il sudore degli italiani sfruttato esosamente coi dazi doganali e col gioco pitagorico del cambio monetario, iniziai il regime dell'autarchia. Devo dire per ragioni di giustizia che il capitale italiano, quello legittimo, che si regge con la capacità delle sue imprese, ha sempre compreso le esigenze sociali, anche quando doveva allungare il collo per far fronte ai nuovi patti di lavoro. L'umile gente del lavoro mi ha sempre amato e mi ama ancora. Ogni giorno aumenta la serie delle testimonianze. I carabinieri che mi hanno arrestato, i marinai che mi hanno trasferito, i popolani che ho incontrato durante la prigionia, avevano tutti negli occhi lampi di sdegno per la mia condizione e gesti di commovente devozione. Un marinaio fece tante manovre finché riuscì a farmi sapere che conservava il ricordo di Bruno nella fotografia di una rivista. Bruno, il più giovane capitano dell'Aviazione italiana, era un autentico eroe. Rischiava con la massima indifferenza e nascondeva le imprese nella più genuina delle modestie. Aveva delle mani potenti, fatte appositamente per dominare le leve degli apparecchi. Si offriva sempre dove c'era un pericolo o un sacrificio. Non ha mai accettato un privilegio. I suoi compagni lo adoravano, i suoi superiori lo stimavano. Sperava di condurre l'apparecchio che gli mancò sotto in una grande impresa degna del leggendario valore italiano.
Le gazzette straniere sono piene d'ironie sul coraggio del soldato italiano. Non so da dove provenga tanta malvagità. Nel medioevo abbiamo avuto i migliori capitani del mondo, i migliori soldati di Napoleone erano italiani. Come eroismo individuale i nostri soldati hanno scritto delle pagine insuperate e insuperabili. Certe azioni sembrano favole, non realtà. A noi è sempre mancato un grande Stato Maggiore, ma questa è una questione di cervello, non di fegato. In Libia i generali sono morti più dei soldati. Fino al reggimento il nostro Esercito è superiore anche a quello tedesco. Comunque nessun soldato ha tanto poco come quello italiano: di paga, di vitto, di armi. Anche in questa guerra i nostri soldati si sono battuti meravigliosamente, ma il loro sacrificio è stato tradito dall'insipienza e dalla corruzione di molti capi. Se avessi affidato le operazioni in Grecia ad un caporale, i risultati non avrebbero potuto essere peggiori. Pantelleria si è arresa, mentre tutto il popolo si prestava ad esaltarne l'eroica resistenza, ingannato da uno spudorato bollettino precedente, con due morti e con acqua e viveri per parecchi mesi. Augusta, di cui gli ammiragli mi avevano sempre esaltato la potenza, fece di più: ha distrutto i cannoni prima ancora che il nemico si affacciasse nello specchio delle acque. Questo è un capitolo nero della nostra storia. Lo riapriremo e lo chiuderemo a guerra finita. Ora non è in gioco solamente il destino dell'Italia e della Germania, ma anche quello dell'Europa. L'Europa verrà cacciata dall'Africa e sarà ridotta, col suo numero esorbitante di popolazione, a mangiare le cortecce degli alberi o a diventare il laboratorio di fatica dell'America. Anche l'Inghilterra sconterà il suo egoismo. Finirà per perdere il suo impero coloniale e diverrà un semplice ponte di congiunzione tra l'America e l'Europa occidentale. Se l'Inghilterra, invece di mandare la cavalleria di San Giorgio a creare zizzanie e odî insanabili, avesse fuso l'Europa in un blocco di ideali e di interessi, la nostra posizione sarebbe inattaccabile. Non ha capito che l'ora dei piccoli e spesso meschini interessi particolari è passata e che i problemi da nazionali si sono fatti continentali. Prima di stringere il Patto d'acciaio ho tentato tutte le vie per trovare un'intesa con l'altra parte. Alla Francia ho ceduto per sempre Tunisi, come primo pegno di concordia. Avevo chiesto la sicurezza del pane per il mio popolo, ma anche questo mi è stato negato. L'Inghilterra non ci ha voluti. Voleva la nostra neutralità e i nostri porti a sua disposizione, e tutto questo, cioè 1'ipoteca dell'avvenire e la nostra dignità, per un misero piatto di lenticchie. Quando ho visto che non c'era nulla da fare, mi sono legato con la Germania. O con gli uni o con gli altri. Il dilemma non ammette altre soluzioni. La nostra posizione geografica è fuori dell'orbita della neutralità. O accettare la guerra o diventare un accampamento di eserciti nemici. Nell'ultima soluzione perderemmo il diritto di essere una nazione senza neppure il vantaggio di schivare i disastri della guerra.
Chi dice che ho sbagliato, ha il dovere di dimostrare come si sarebbe potuto far meglio. Io sono sempre pronto ad ammettere i miei errori. Non ho mai pensato di essere infallibile. Anche in questa guerra ho sbagliato anch'io, ma assai meno degli altri. I tedeschi non mi hanno mai ascoltato ed hanno fatto male. Hitler, che è il solo che mi stimi sinceramente, non ha voluto portare subito, come io intendevo, il centro della guerra nel Mediterraneo. Prese Malta e Gibilterra, saremmo stati padroni del nostro mare e la Spagna, la Turchia e l'Egitto sarebbero venute con noi, l'Africa sarebbe passata sotto il nostro controllo e l'Etiopia non sarebbe caduta. Inoltre avremmo tenuto lontana migliaia di chilometri la minaccia aerea. Io ero contrario all'attacco contro la Russia. Al posto del Fuhrer mi sarei fatto aggredire e sarei rimasto sulla difensiva. Avrei sfruttato il vantaggio morale di essere tradito e quello materiale di logorare il nemico. Hitler è caduto nella trappola di Stalin, che è. lo statista più furbo e più abile del mondo, perché ha una direzione sola.
Io ero sicuro dell'intervento americano, perché lo sviluppo storico ed economico dell'America lo esigeva. Vittoriosa, l'America balza alla testa del mondo, superando la sua antica dominatrice. La guerra favorisce l'assorbimento delle Repubbliche americane in un solo Stato, che è già di fatto se non di diritto. Le grandi riserve di oro hanno urgente bisogno di investimento, pena lo svilimento del metallo. Ribbentropp, l'orgoglioso birraio, mi ha detto che gli italiani hanno troppa fantasia e Hitler gli ha dato ascolto. Io non potevo fare di più perché la capacità dei diplomatici risiede per quattro quinti nella voce dei loro cannoni. Si è detto che siamo andati alla guerra con le fionde. Non è vero. L'Esercito italiano non era mai stato tanto armato, la flotta era superiore a quella francese ed era in grado di reggere qualunque confronto. In fatto di armamenti le nazioni povere saranno sempre in stato di inferiorità. Si è fatto quello che i nostri mezzi consentivano. Ma era sufficiente per il ruolo che dovevamo sostenere. Sono entrato in guerra in un momento in cui sfido qualunque italiano a dire a se stesso che aveva dei dubbi sull'esito del conflitto. La stampa alleata mi ha chiamato Maramaldo. Sembrava che la maggior fatica fosse ormai quella di sedere al tavolo verde e dettare la pace. Confesso che anch'io mi sono illuso se non nell'estrema facilità del successo, in una vittoria non troppo sanguinosa. E sono entrato più per frenare l'ingordigia tedesca, che per cupidigia nazionale. Subito dopo mi accorsi degli errori in cui si muoveva lo Stato Maggiore tedesco o per meglio dire Hitler. Egli, a differenza di me, che avevo assunto la responsabilità politica della guerra e solo formalmente quella militare, e lasciavo fare ai generali, dirigeva le operazioni con l'ostinazione che gli è propria.
Primo errore fu quello di lasciarsi irretire nel gioco finissimo di Laval e di Pétain, ai quali la Francia deve la propria salvezza, ed impedire a noi di sbarcare subito a Tunisi. Il Corpo di spedizione era già in movimento e dovetti farlo rientrare con la morte nel cuore. Altro errore capitale fu quello di usare la tattica estensiva e non quella intensiva. I tedeschi hanno sparso le loro, ed anche le nostre forze, su un arco troppo vasto. Bisognava invadere l'Inghilterra e non curarsi troppo delle molestie di poco conto. Si poteva. Invece Hitler ha avuto timore della Russia, che all'attacco, lontana migliaia di chilometri dalle basi di riferimento, non avrebbe rappresentato una minaccia allarmante. Non ha capito che o si vinceva così o la guerra sarebbe stata perduta, perché il fattore tempo era a nostro svantaggio. L'Inghilterra in piedi significava l'appiglio per l'entrata in campo dell'America. Forse l'Inghilterra non avrebbe ceduto subito, avrebbe magari ripiegato in America con la sua flotta, ma il successo morale avrebbe travolto gli indecisi e le vele della nostra fortuna si sarebbero automaticamente gonfiate. Chi ha perduto la casa desidera innanzi tutto ritornarci, 'tanto più se le condizioni di recupero sono generose, come indubbiamente sarebbero state. Ma la verità vera è che Hitler, noncurante della forza di difesa del colosso russo, ancora intatto, aveva un sacro rispetto per l'Inghilterra e non voleva umiliarla, nella speranza di averla alleata nella sistemazione dell'Europa. Le offerte di pace fattele dopo Dunkerque erano tali da soddisfare non solo gli interessi degli inglesi, ma anche il loro orgoglio. Hitler è duro, qualche volta feroce, eppure ha degli abbandoni sentimentali da lasciare stupiti. Hess non ha né tradito, né soggiaciuto ai capricci dei nervi. È andato in Inghilterra a compiere una missione, che aveva l'aspetto dell'isterismo. I capi inglesi, che hanno tutti i nervi di quel vecchio leone di Churchill, hanno capito e giocato sulla psicologia.

A palazzo Venezia una indovina mi ha detto: « Se comanderete tutto voi, anche i tedeschi, la guerra sarà vinta; in caso contrario avrete ottantacinque probabilità su cento di perderla ». Eravamo nel giugno del 1941, esattamente un anno dopo l'entrata in guerra. Io sono sicuro che se avessi avuto la direzione generale delle operazioni, politica e strategica, la guerra sarebbe stata vinta. Quando ho fatto di mia testa ho sempre indovinato. Ogni uomo ha la sua stella. La mia è una stella buona, ma non posso associarla ad altre senza neutralizzarla. La nostra guerra non è stata « nostra », perché si è svolta nell'orbita tedesca. E’ il destino di Hitler che si è imposto, non il mio. A questo fatto importantissimo non ci avevo pensato. Ma io la guerra avrei potuto vincerla ugualmente se fossi stato meno sensibile al rispetto umano. Se fossi stato un dittatore come amavano descrivermi gli ignobili pennaioli stranieri, anime perdute nelle mani dei falsari della storia, e come spesso mi rimproveravo di non essere, avrei obbligato Marconi, magari con la tortura, a consegnarmi la sua scoperta, la più grande di questo secolo. Quando io ho detto al mondo che se l'Italia fosse stata costretta a prendere le armi avrebbe sorpreso per il suo genio inventivo, non bluffavo. Io non ho mai bluffato. Ho alzato spesso la voce, ma mai ho puntato alla cieca sulla carta della fortuna. Là dove non avevo la forza, avevo la certezza politica.
Per l'Etiopia il mio Stato Maggiore ha tremato non appena ha visto la flotta inglese sfilare tra Malta e Gibilterra. Moltissimi mi hanno scongiurato di non insistere per non venire alle mani con l'Inghilterra. Essi erano certi che l'Inghilterra non ci avrebbe lasciati passare. Io ero sicuro del contrario. Quella era una manovra, che mascherava contemporaneamente parecchie cose, tra cui una presunta offesa alla dignità del popolo britannico, per eccitare i sentimenti nazionalistici e condurre la nazione senza troppa fatica, al momento opportuno, nella bolgia infernale della guerra. L'Inghilterra aveva, invece, tutto l'interesse di lasciarci passare, come l'America aveva tutto l'interesse di spingere il Giappone contro la Cina, per indebolire i probabili alleati della Germania. Infatti la guerra è scoppiata due anni prima del previsto, nell'anno, nel giorno e nell'ora scelti dall'Inghilterra. Il gioco è stato così abile che la Germania non si è accorta che camminava con le gambe inglesi. A cose fatte un ambasciatore mi disse che avevo sfidato l'Inghilterra col due di bastoni. Lo stesso ambasciatore, dopo il discorso delle « armi strabilianti », andò da Ciano a dire che se avessi posseduto realmente quelle armi mi sarei guardato bene dal farlo sapere. Invece lo dicevo per frenare gli stimoli alla guerra, di questa stramaledetta guerra, che io sentivo avvicinarsi col passo felpato dei criminali.
Se quel diplomatico fosse stato con me ad assistere agli esperimenti di Marconi sarebbe rimasto di sasso. Sulla strada di Ostia, ad Acilia, Marconi ha fermato i motori delle automobili, delle motociclette e dei camion. Nessuno sapeva rendersi conto dell'improvviso guasto e poterono ripartire soltanto quando lo volle il grande inventore. L'esperimento venne ripetuto sulla strada di Anzio, coi medesimi risultati. Ad Orbetello, due apparecchi radiocomandati vennero incendiati ad oltre duemila metri di altezza. Marconi aveva scoperto il « raggio della morte » e lo aveva perfezionato in modo da poterlo usare con discreta facilità e con una spesa relativamente modesta. Col « raggio della morte » si sarebbe andati in capo al mondo nel giro di tre mesi. Quando parlai ero sicuro di quello che dicevo. Senonché Marconi, che negli ultimi tempi era diventato religiosissimo, ebbe uno scrupolo di carattere umanitario e chiese consiglio al Papa, e il Papa lo sconsigliò di rivelare una scoperta tosi micidiale. Marconi, turbatissimo, venne a riferirmi sul suo caso di coscienza e sull'udienza papale. Io rimasi esterrefatto. Gli dissi che la scoperta poteva essere fatta da altri ed usata contro di noi, contro il suo popolo, quindi; che io non gli avrei usata nessuna violenza morale, preferendo che risolvesse da solo il suo caso di coscienza, sicuro che i suoi profondi sentimenti di italianità avrebbero avuto il sopravvento. Pochi giorni dopo Marconi ritornò e sul suo viso erano evidenti i segni della tremenda lotta interiore tra i due sentimenti, religioso e patriottico. Per rasserenarlo lo assicurai che il « raggio » non sarebbe stato usato se non come estrema risoluzione. Il grande scienziato se ne andò barcollando. Io avevo ancora fiducia di poterlo convincere gradatamente dell'assurdità della sua posizione. Infatti lo scienziato non può essere responsabile del cattivo uso che. si può fare della sua invenzione. Invece Marconi moriva improvvisamente, forse di crepacuore. Da quel momento, temetti che la mia stella incominciasse a spegnersi.
Le stelle dei dittatori durano poco tra i popoli latini. In altri popoli, invece, la dittatura è una necessità organica. I tedeschi hanno avuto, prima del nazismo, un liberalismo, una democrazia e un socialismo a carattere dittatoriale. Vogliono sempre un capo che comandi duro. I russi sono passati dall'autocrazia della corte a quella della piazza. Stanno benissimo perché l'uomo che comanda sta sempre al Cremlino. I turchi sono in repubblica, ma il comando è ferreo. Tutti i dittatori, compreso quello latino della Spagna, hanno fatto strage dei loro nemici. Io sono il solo in passivo: tremila morti contro qualche centinaio. Credo di avere nobilitato la dittatura. Forse l'ho svirilizzata, ma le ho strappato gli strumenti di tortura. Stalin è seduto sopra una montagna di ossa umane. E' male ? E' bene ? Io non mi pento di avere fatto tutto il bene che ho potuto anche agli avversari, anche ai nemici, che complottavano contro la mia vita, sia con l'inviare loro dei sussidi, che per la frequenza diventavano degli stipendi, sia strappandoli alla morte. Ma se domani togliessero la vita ai miei uomini, quale responsabilità avrei assunto salvandoli? Stalin è in piedi e vince, io cado e perdo. La storia si occupa solamente dei vincitori e del volume delle loro conquiste ed il trionfo giustifica tutto. La rivoluzione francese è considerata per i suoi risultati, mentre i ghigliottinati sono confinati nella cronaca nera.
Del dittatore comunemente inteso io non ho avuto né la strafottenza, né la malvagità. A rigore di termini non sono stato neppure un dittatore, perché il mio potere di comando coincideva perfettamente con la volontà di ubbidienza del popolo italiano. Del dittatore avevo solamente la responsabilità. Infatti io rispondevo di tutto, anche di quello che sfuggiva al mio controllo. Non è difficile eludere il controllo di un uomo solo. Ci sono mille sfumature per ritardare un ordine o non eseguirlo. Intorno a me sentivo spesso un cerchio, ma non sapevo in quale punto si doveva infrangerlo. Ho avuto più dipendenti che collaboratori. Colpa mia ? Del mio carattere ? Dell'ascendente che esercitavo sugli uomini fino a paralizzare la loro personalità ? Fatto sta che nessuno è mai venuto a dirmi: « Rinuncio alla mia carica perché non condivido il vostro punto di vista ». Ogni mia proposta veniva salutata come la soluzione più geniale, tanto se si trattava di politica che di economia, di problemi militari o di urbanistica, di scienza o di sport. La parola « genio » mi veniva ripetuta cento volte al giorno, anche da persone che nel campo del pensiero occupavano i posti più alti. Un vicario di Cristo mi chiamava 1'« Uomo della Provvidenza » e sovrani, statisti, scienziati, artisti venivano da ogni parte del mondo per assicurarmi che io ero la più grande personalità dell'epoca. Faticai più io per non perdere l'equilibrio che non i miei ammiratori a mantenersi sulle punte aguzze del fanatismo.
Il mio torto è stato quello di dare vita alla « diarchia ». Ma non è stato per vanità personale. La rivoluzione aveva i suoi diritti e le sue esigenze. In questo modo intendevo conciliare la dignità della rivoluzione col fermo proposito di servire il re. Dopo la conquista dell'Etiopia, c'era nel Partito e in molti dell'opinione pubblica uno stato d'animo di colpo di Stato. Se il 9 maggio invece di mettere la corona imperiale sulla testa del re l'avessi messa sulla mia, la stragrande maggioranza del popolo italiano mi avrebbe acclamato imperatore. Non volli. Finché i re sono degni del loro posto bisogna rispettarli. I Savoia avevano diritto alla gratitudine degli italiani perché l'unità d'Italia si deve anche a loro. Eppure, lo dico con rammarico, l'insidia maggiore contro di me ed il fascismo si annidava. Vittorio Emanuele III, uomo di talento, ma superbo, insensibile, avaro anche di riconoscimenti, non sapeva nascondere la propria irritazione ad ogni mio successo, che era successo italiano ed anche suo. Io consideravo la situazione come il giusto castigo di un convinto repubblicano che era finito per diventare il fedele sostenitore della monarchia. La Corte polarizzava il vecchio mondo, che non si adatta mai alle situazioni nuove, gli interessi offesi, le vanità deluse e tutti gli infiniti generi del malcontento. In più, pericolosissimi, bisogna aggiungere gli intrighi stranieri. Tuttavia, senza le sorti infelici della guerra, il fascismo sarebbe stato invulnerabile. Chi perde la guerra, perde se stesso. È una legge che non ammette attenuanti. Ma anche noi non siamo stati all'altezza della vicenda storica. Noi siamo stati rovinati dallo spirito borghese, che significa l'abbandono alla soddisfazione, all'adattamento, allo scetticismo, alla vita comoda. I tempi duri si sono presentati quando si era fatto spreco di entusiasmo e si riteneva che tutto fosse già compiuto. In un discorso alla Camera avevo detto che sarebbe stata cura del fascismo di ammobiliare un po' meno sontuosamente il cervello degli italiani per curare un po' più il loro carattere. Invece si è fatto troppa retorica, a scapito della severità del costume. Troppe cariche, troppi ciondoli, troppe canzoni, anche per i giovani, che dovevano essere i portatori di un nuovo sistema di vita. Riconosco che anch'io mi sono lasciato trascinare dalla marcia trionfale dell'entusiasmo. Per noi italiani è difficile resistere alla musica e alle canzoni.
Io ho avuto due disgrazie: un'ulcera allo stomaco, che avrebbe atterrato un bue e che sovente mi impediva, nonostante il grande sforzo di volontà, di disporre dell'energia necessaria, e la morte di Arnaldo. Arnaldo era un italiano di antico stampo: probo, intelligente, sereno, umano. Era il mio anello di congiunzione col popolo. Ciò che mi riferiva era sempre esatto, giustissimo quello che mi consigliava. Dopo la sua scomparsa crebbe la mia diffidenza per gli uomini. Rarissime volte ho stimato le persone che ho conosciuto. Il genere umano è ancora troppo legato agli stimoli animali. L'egoismo è la legge sovrana. Anche le persone cosiddette superiori valgono per la piccola parte in cui si sono specializzate; le altre parti sono completamente negative. Nel popolo minuto ho trovato le più belle virtù sociali. I più ricchi sono i critici più spietati della vita, perché il piacere conduce all'esasperazione dei sensi. Chi cade nella rete dei godimenti materiali è perduto per la società. Il lavoratore che assolve il dovere sociale senz'altra speranza che un pezzo di pane e la salute della propria famiglia, ripete ogni giorno un atto di eroismo. La gente del lavoro è infinitamente superiore a tutti i falsi profeti che pretendono di rappresentarla. I quali falsi profeti hanno buon gioco per l'insensibilità di chi avrebbe il sacrosanto dovere di provvedere. Per questo sono stato e sono socialista. L'accusa di incoerenza non ha fondamento. La mia condotta è sempre stata rettilinea nel senso di guardare alla sostanza delle cose e non alla forma. Mi sono adattato socialisticamente alla realtà.
Man mano che l'evoluzione della società smentiva molte delle profezie di Marx, il vero socialismo ripiegava dal possibile al probabile. L'unico socialismo attuabile socialisticamente è il corporativismo, punto di confluenza, di equilibrio e di giustizia degli interessi privati rispetto all'interesse collettivo. Io ho dato ai lavoratori italiani quello che le nazioni più progredite non si sognano neppure. Ciononostante sono qui, legato al palo dei reazionari. Ho tolto la libertà. Si, ho tolto quel veleno che i popoli poveri ingoiano stupidamente con entusiasmo. Ho fatto versare il sangue del mio popolo. Sì, ogni conquista ha il suo prezzo. L'Etiopia era una necessità materiale, non un'avventura romantica. La Spagna ! Spero di trovarmi a tu per tu con la politica estera inglese. Allora l'aprirò io questa scatola a sorpresa. La politica inglese è diabolica. Se ne accorgeranno gli americani quando si affacceranno alla politica europea. Nel momento in cui saranno impegnati nell'inevitabile duello mortale con la Russia, o cederanno al nodo scorsoio dell'Inghilterra o l'Inghilterra si alleerà con la Russia. Tutti dicono che se non avessi fatto questa stupida guerra, avrei un monumento in ogni piazza d'Italia. Ogni uomo di Stato sogna i monumenti, ma se si decide per la guerra significa che il suo popolo non può vivere in pace.
Tutti vorrebbero mangiare senza lavorare, vivere senza malattie, essere felici senza sacrifici. Ciò è innaturale. Anche il filo d'erba per godere il sole deve rompere la crosta della terra e qualche volta la roccia nuda. Sono un sanguinario vendicativo perché a Verona ho fatto uccidere i miei collaboratori. Non è vero! Non è vero! Non è vero ! Rigetto lontano da me l'accusa infame. Non volevo il processo, non volevo l'esecuzione. Non ho potuto dirlo neppure al cappellano degli Scalzi, perché i muri delle mie stanze hanno gli orecchi. Non potevo essere il carnefice del padre dei miei nipoti. Se avessi voluto vendicarmi dell'atteggiamento dei ventuno membri del Gran Consiglio, avrei potuto farli arrestare a palazzo Venezia. Avevo ancora l'autorità per farlo. In Germania, Ciano è stato mio ospite. Il processo l'hanno voluto i tedeschi. Io mi sono opposto, ho cercato di frapporvi tutti gli ostacoli, ho fatto capire alla stampa che bisognava « insabbiarlo », ho pregato Farinacci, che per la sua intransigenza era il più qualificato, di placare la canea urlante, e lo ha fatto con un corsivo del suo giornale. Non ci fu verso. I tedeschi mi fecero capire che, secondo il loro modo di giudicare le cose, chi difende un colpevole è un complice. Io non conto più niente. In Germania tutti mi disprezzano, tranne Hitler, che ha ancora per me del rispetto, e non pochi mi sospettano autore del 25 luglio. Io sono prigioniero dal giorno che mi arrestarono in casa del re. La domanda di grazia non mi è pervenuta mai. Il vero capo della Repubblica Sociale non è Mussolini, ma Rahn. Se Hitler e la Germania vincessero la guerra, Mussolini e l'Italia l'avrebbero ugualmente perduta. Per noi non c'è più via di scampo. Di là, siamo dei nemici che si sono arresi senza condizioni, di qua siamo dei traditori. Tutti avremo le nostre colpe, ma bisogna riconoscere che il destino è crudele. Noi, dopo tutto, non cercavamo che un pezzo di pane meno ingrato. Noi combattiamo per imporre una più alta giustizia sociale. Gli altri combattono per mantenere i privilegi di casta e di classe. Noi siamo le nazioni proletarie che insorgono contro i plutocrati. Non può durare l'assurdo delle carestie artificiosamente provocate. Esse denunciano la clamorosa insufficienza del sistema. Sono più che mai convinto che il mondo non può uscire dal dilemma: o Roma o Mosca.
Non avevamo previsto che questa guerra sarebbe pesata più sugli inermi che non sugli armati. I nostri nemici hanno pensato che è più facile vincere i vecchi, le donne ed i bambini che non i soldati. Le incursioni aeree paralizzano le retrovie, scatenano il terrore, fanno insorgere il bisogno della pace a qualunque costo. Non ho niente da rimproverare agli italiani. Ai bombardamenti aerei l'uomo non ha i nervi sufficienti per resistere. Noi siamo stati massacrati dall'alto. Mai si era visto nella storia, neppure nei periodi di più acuta barbarie, cercare di ottenere la vittoria con un simile disprezzo della vita delle popolazioni. Ciò significa che l'umanità peggiora nel senso morale in proporzione di quanto migliora nel progresso. Per accusare, tuttavia, bisognerebbe essere sicuri che noi, possedendo gli stessi mezzi, avremmo agito diversamente. Io non sono sicuro di me e tanto meno del mio alleato, che ha contro di sé 'i bombardamenti di Londra. Eppure l'esempio della Russia potrebbe valere per tutti. Essa sta marciando a grandi passi senza scaricare una bomba sopra una casa. Adesso, gli Alleati sembrano disposti a distruggere la Germania. Io resto stupito da tanta incapacità di comprensione. Distrutta la Germania, chi fermerà la Russia ? Nessun esercito, tranne il tedesco, può competere con quello russo. La Russia è a Berlino prima degli altri ed una volta in possesso dell'Europa centrale non vedo chi la possa fare sloggiare. I trattati di pace ? Le armi segrete ? I trattati li detta sempre il più forte, e il segreto di uno non può impedire il segreto di un altro. Se lo stesso errore si commettesse per il Giappone, la Cina sfilerebbe in parata davanti ad un maresciallo bolscevico. E l'India cosa farebbe ? Cosa farebbero gli altri Dominions ? Cosa sarebbe del mondo intero ? È mai possibile che l'America e l'Inghilterra non avvertano un pericolo così grande ? Hanno forse in mano l'esercito russo ? Hanno pronta la mina della rivoluzione da fare scoppiare sotto il Cremlino ? O non sono forse caduti in una delle più colossali mistificazioni ? Personalmente io penso che sia più facile trovare dei traditori nelle nazioni borghesi che non tra un popolo ad alta tensione ideale. Io non capisco, non ci capisco niente. Anche qui accadrà quello che deve accadere. Capisco solamente che per noi si aprirà un periodo tremendo. Nessuno potrà frenare l'odio e le ambizioni. La stessa unità italiana verrà spezzata. Ci verrà tolto Trieste, ci verranno tolte Fiume e la Dalmazia, ci verrà tolto l'Alto Adige, ci verrà tolta la Val d'Aosta, potrebbe esserci tolta la Sicilia, Roma stessa potrebbe essere ridata al Papa. Io prego perché gli uomini che mi succederanno siano tanto illuminati da poter risparmiare alla patria le supreme umiliazioni. Spero che il Pontefice sarà tanto alto da non prestarsi al gioco di chi vorrebbe decapitare l'Italia. Roma è sempre spiritualmente sua, alla stessa maniera che è di tutti i cristiani.
I fascisti che rimarranno fedeli ai principi dovranno essere dei cittadini esemplari. Pur partecipando alla vita politica, non dovranno intromettersi nei dissidi e negli intrighi, che ritardano le soluzioni. Essi dovranno rispettare le leggi che il popolo vorrà darsi e cooperare lealmente con le autorità legittimamente costituite per aiutarle a rimarginare nel più breve tempo possibile le ferite della patria. Chi agisce diversamente dimostrerebbe di ritenere la patria non più patria quando si è chiamati a servirla dal basso. I fascisti, insomma, dovranno agire per sentimento, non per risentimento. Dal loro contegno dipenderà una più sollecita revisione storica del fascismo, perché adesso è notte, ma poi verrà il giorno.
L'uomo politico che prendesse sul serio l'antifascismo di oggi cadrebbe in un grave errore. Quando muta il vento della fortuna, la massa cambia direzione alle vele. Ma il vento della fortuna è assai mutevole e cambia per tutti. Il giudizio di oggi non conta. Conterà quello di domani, a passioni sopite, a confronti stabiliti. Vent'anni di fascismo nessuno potrà cancellarli dalla storia d'Italia. Non ho nessuna illusione sul mio destino. Non mi processeranno, perché sanno che da accusato diverrei pubblico accusatore. Probabilmente mi uccideranno e poi diranno che mi sono suicidato, vinto dai rimorsi. Chi teme la morte non è mai vissuto, ed io sono vissuto anche troppo. La vita non è che un tratto di congiunzione tra due eternità: il passato ed il futuro. Finché la mia stella brillò, io bastavo per tutti; ora che si spegne, tutti non basterebbero per me. Io andrò dove il destino mi vorrà, perché ho fatto quello che il destino mi dettò. Quelli che mi uccideranno saranno inseguiti dal mio fantasma, che vuole dir loro la parola del perdono. Ma essi fuggiranno per timore della vendetta, così non ci incontreremo mai. Io sarò io anche quando loro non saranno più loro.
Gli uomini che ho più ammirati sono Dante, Machiavelli, Giovanni dalle Bande Nere, Marconi. Il primo conferì all'umano il diritto del giudizio divino, il secondo diede lo Stato alla fazione, il terzo dominò lo strazio della carne, il quarto abolì le distanze e riunì i punti estremi della terra nello spazio di pochi secondi. Bastano dunque pochi italiani per rappresentare da soli l'umanità. Chi piange oggi, non speri di ridere domani, perché le altre lacrime sarebbero ugualmente italiane.
I miei veri figli nasceranno dopo e saranno quelli che vedranno in me quello che io stesso non ho potuto vedere. Nessuno che sia un vero italiano, qualunque sia la sua fede politica, disperi dell'avvenire. Le risorse del nostro popolo sono immense. Se saprà trovare un punto di saldatura, recupererà la sua forza prima ancora di qualche vincitore. Per questo punto di fusione io darei la vita anche ora, spontaneamente, qualunque sia, purché improntata a vero spirito italiano. Dopo la sconfitta io sarò coperto furiosamente di sputi, ma poi verranno a mondarmi con venerazione. Allora sorriderò, perché il mio popolo sarà in pace con se stesso.


«Noi siamo i portatori di un nuovo tipo di civiltà» – Benito Mussolini

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